
Una relazione dei medici dell’Asp inviata alla Procura certifica come la casa fosse un tugurio in cui i residenti erano soliti riscaldarsi appiccando fuoco nell’appartamento
COSENZA – Tre persone arse vive insieme al proprio cagnolino e il patrimonio culturale della città in cenere. Questo il drammatico bilancio dell’incendio che il 18 agosto ha avvolto tra le fiamme Palazzo Compagna. Una strage annunciata. Ad oggi la relazione del nucleo investigativo dei vigili del fuoco pare non abbia ancora chiarito se il rogo sia di natura dolosa, mentre la sovrintendenza ha chiesto di sorvegliare sulle operazioni di smassamento dei detriti all’interno dello stabile andato in fiamme. Da ieri i pompieri sono al lavoro per rimuovere tutto ciò che resta dell’abitazione della famiglia Noce e dalla residenza Ruggi D’Aragona. Su corso Telesio è stato apposto un container della Calabra Maceri in cui vengono sversati i materiali prelevati dagli appartamenti ancora sotto sequestro. Lavori che consentiranno di capire cosa sia successo in quel caldo pomeriggio d’agosto e di mettere in sicurezza l’area attualmente a rischio crollo. Nei giorni scorsi la sovrintendenza ha proceduto ad un sopralluogo per verificare lo stato delle opere conservate nella residenza della famiglia Bilotti tra cui importanti pergamene, sculture e manoscritti da Telesio a San Francesco di Paola.
Delle tre vite falciate dal rogo e dei preziosi reperti conservati nel palazzo resta solo la rabbia per una tragedia che si poteva e doveva evitare. In tempi non sospetti infatti una relazione del dipartimento di Igiene Pubblica e Medicina Preventiva dell’ASP di Cosenza segnalava l’inabitabilità dei locali occupati da Antonio Noce, Serafina Speranza, Roberto Golia e il loro cagnolino. Il 24 marzo del 2016 i dirigenti medici intervenuti dopo un sopralluogo richiesto dalla Procura della Repubblica di Cosenza sollecitavano l’intervento dei servizi sociali e della polizia municipale del Comune di Cosenza per sgomberare la famiglia Noce (peraltro già condannata per occupazione abusiva) spiegandone le ragioni. “Si procede – si legge nell’atto – incontrando notevoli difficoltà: irrespirabile fetore proveniente da una scala ripida e tortuosa ‘frantumata’ in più parti, facente parte di una vetusta struttura campanaria del Duomo. Si penetra nel luogo con facilità, non essendovi alcuna porta d’ingresso, con l’ausilio e la mediazione dei carabinieri. I locali, se di locali si può parlare, ci appaiono a mò di tugurio letteralmente, costituiti da due ambienti dove la sporcizia e il fetore regnano sovrani, sovrastati da travi enormi di legno al soffitto annerite e coperte da nerofumo.
Il fetore si percepisce in ogni zona, gli infissi sono privi dei vetri. Gli occupanti, due uomini e una donna, dichiarano di riscaldarsi bruciando legna nella ‘vrascera’. Da quanto sopra si ritiene che questi ambienti non possano avere le caratteristiche dell’abitabilità; tantomeno da un punto di vista igienico consentono il soggiorno di esseri umani, per cui se ne chiede immediato sgombero e chiusura”. Un appello ad intervenire con solerzia che, purtroppo, non sortì alcun effetto. L’emergenza segnalata dai sanitari dell’Asp, diciassette mesi prima dell’evento nefasto, fu completamente ignorata. Eppure i residenti del quartiere da tempo, attraverso ripetute telefonate al Comune di Cosenza e alla Polizia Municipale, segnalavano come la casa fosse priva di acqua e servizi igienici ed i suoi residenti costretti ad evacuare sul pavimento. Inoltre l’abitudine dei Noce di accumulare rifiuti e oggetti di ogni genere (fino a riempire due livelli della torre campanaria del Duomo inglobata nel palazzo) avrebbe comportato, a detta dei medici dell’Asp, un alto rischio di infezioni ed incendi. Rischio quest’ultimo divenuto realtà con conseguenze ormai irrimediabili. Numerose le famiglie che ancora oggi abitano il centro storico in condizioni di estremo degrado per le quali, si spera, le istituzioni intervengano. Prima che sia troppo tardi.














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