
L’uomo, originario di San Giovanni in Fiore, aveva intentato una causa di lavoro per le condizioni in cui è stato costretto a lavorare in Pronto Soccorso
COSENZA – Duemila euro per un ritardo di tre anni. Questo il risarcimento ottenuto da un infermiere di San Giovanni in Fiore che lavorava presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di Crotone. L’uomo, nonostante le patologie sofferte non gli consentissero di svolgere mansioni che comportassero sforzi fisici, per anni fungeva anche da barellista pur non essendo una funzione prevista dal proprio contratto. A causa della carenza di personale infatti è stato costretto a continuare a lavorare nel reparto di medicina d’urgenza, pur essendo documentata la richiesta degli organi competenti di trasferimento ad altro settore con un ruolo meno usurante. Dopo aver intentato e vinto la causa contro l’Asp di Crotone, attendendo sette anni per la pronuncia del giudice del Lavoro presso il Tribunale di Cosenza, la Corte d’Appello di Catanzaro gli ha riconosciuto il diritto ad essere risarcito per uno sforamento di tre anni dalle tempistiche previste dalla legge. Gli avvocati dello Studio Legale di Rende, Pasqualino Gallo, Alfonso Cassiano e Rossella Reda hanno ottenuto infatti il risarcimento dei danni per eccessiva durata del processo. Il processo, incardinato nel mese di dicembre 2009 è stato infatti definito solo nel mese di settembre 2016.
In questi casi il ricorrente ha diritto ad ottenere l’equa riparazione dei danni subiti. L’infermiere non la prima persona ad aver ottenuto tale indennizzo in provincia di Cosenza. Sono almeno cinque i casi seguiti dagli avvocati Gallo, Reda e Cassiano che hanno ottenuto il risarcimento richiesto. La legge prevede il presupposto della responsabilità del Ministero della Giustizia nella violazione del termine di durata del procedimento, indicato nell’art. 2, comma 2-bis, L. 89/2001 sia che si tratti di un imputato o di una parte lesa, a prescindere dall’esito della sentenza. Anche le cause complesse soggiacciono alla norma che ne impone la definizione in un tempo ragionevole, in quanto, secondo il principio guida elaborato dalla Corte Suprema di Cassazione a Sezioni Unite, il giudice deve fare fronte alla complessità del caso con un più risoluto ed incisivo impegno. I criteri di massima, indicati dalla legge n. 89/2001 per accertare il superamento del termine ragionevole sono: la complessità del caso, l’oggetto del procedimento, la condotta delle parti, la condotta del giudice del procedimento, nonché quella di ogni altra autorità chiamata a concorrervi ed a contribuirvi.
I principi sono seguiti costantemente anche dalla giurisprudenza di merito, considerato che “è indubbio che la lunga attesa della definizione di un qualsiasi giudizio determini nel cittadino stanchezza, sfiducia nella giustizia e più in genere nelle istituzioni, senso di impotenza e, quindi, in definitiva uno stato d’animo negativo suscettibile di ristoro in termini di danno morale ai sensi del disposto di cui all’art. 2 comma 1 della l. 89 del 2001, da liquidarsi in via equitativa” (ex plurimis Corte d’Appello di Napoli, 13/12/2001). Ai sensi dell’art. 4 della L. 89/2001 “la domanda di riparazione può essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva”. Resta da ricordare che l’Italia a causa dell’irragionevole durata dei processi viene condannata dalla Corte di Giustizia Europea a pagare ogni anno sanzioni milionarie.
L'articolo Il processo dura sette anni, infermiere in causa ottiene risarcimento dall’Asp sembra essere il primo su QuiCosenza.it.