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Channel: Maria Teresa Improta, Autore presso quicosenza
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Franco Pino e i depistaggi sull’omicidio di Roberta Lanzino, nuovi prelievi di DNA (INTERCETTAZIONI)

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Il pentito dagli occhi di ghiaccio ricordò solo dopo cinque anni di conoscere la dinamica e i responsabili del delitto.

 

COSENZA – Sono stati effettuati ieri i tamponi orali sui fratelli di Franco Sansone, Remo e Raffaele. Prelievi diventati coattivi grazie all’ordinanza del gip di Paola scattata a seguito del rifiuto di sottoporsi al test del DNA da parte dei due congiunti dell’uomo che, fino al verdetto di Maggio della Corte d’Assise di Cosenza, era stato ritenuto il presunto assassino di Roberta Lanzino. A scagionarlo una sentenza dalla quale, tra le righe, emergono diversi tentativi di depistaggio. Sin dai primi momenti in cui fu ritrovato il corpo esanime della diciannovenne, abbandonato tra le sterpaglie a Falconara Albanese in località Peschiera, proprio dove abitava la famiglia Sansone sembrava vi fosse qualcuno da ‘proteggere’. L’agricoltore cerisanese sarebbe stato il bersaglio più facile su cui fare cadere le accuse dell’atroce delitto. Soprattutto negli anni successivi quando fu condannato per aver ucciso il suo omonimo, Franco Sansone agente di polizia penitenziaria a Cosenza e la sua ex fidanzata Rosaria Genovese sospettata di essere un’informatrice delle forze dell’ordine.

 

L’esito delle indagini condotte dal Ris di Messina, che ora analizzerà i materiali biologici prelevati, ha portato a scagionare i due imputati Franco Sansone e Luigi Carbone, quest’ultimo vittima di lupara bianca a pochi mesi dalla morte della studentessa rendese. Il profilo genetico estratto dallo sperma ritrovato nel terriccio su cui giaceva il cadavere della giovane non corrisponde né al DNA di Sansone, nè a quello (estrapolato da genitori e figli) di Carbone. Ai prelievi coattivi pare ne siano stati aggiunti ieri altri, su diversi soggetti non residenti nel paolano, a loro insaputa. Sul caso, ancora irrisolto, la Procura di Paola ha aperto un nuovo fascicolo che intende far luce sui depistaggi posti in essere nel corso delle indagini. Le persone da proteggere, a distanza di ventisette anni, sono ancora ignote. Si parlò inizialmente di figli di noti professionisti di Cosenza poi l’attenzione fu rivolta a tre pastori (Luigi, Rosario e Giuseppe Frangella) assolti in Cassazione. Note invece le intimidazioni messe in opera dalla famiglia Sansone per appropriarsi indebitamente dei terreni di onesti agricoltori del territorio che affaccia sul Tirreno. Una donna, dopo aver perso tutti il proprio patrimonio, raccontò di essere stata minacciata con una visitia a ‘sorpresa’ anche mentre era ricoverata in ospedale.

 

Roberta, partita con il suo motorino da Cosenza avrebbe dovuto raggiungere San Lucido. I suoi genitori per un banale ritardo non erano riusciti a mettersi in auto in tempo per seguirla. La diciannovenne sbaglia bivio e si perde tra le montagne. Dietro di lei c’è una FIAT 131 che la segue, a sostenerlo sono ben cinque teste. Al suo interno un uomo biondo con i capelli ben curati. Ferma dei passanti della zona e chiede indicazioni ad una coppia dicendo di essere preoccupata per quella presenza sinistra. ”Il marito della donna – si legge nella sentenza – che in seguito sarebbe stato afflitto da rimorsi l’aveva rassicurata perchè conoscendo l’occupante dell’autovettura aveva escluso che questi potesse avere cattive intenzioni: ‘Questo non va cercando a te va cercando altre cose'”. E proprio una FIAT 131, che a volte usavano i Sansone, verrà ritrovata dopo oltre quindici anni nel burrone in cui era stato adagiato il corpo della Lanzino dopo aver subito lo stupro. La figura dell’uomo dai capelli biondi e ben curati poco si addice ai due personaggi ritenuti autori dell’omicidio: Francesco Sansone e Luigi Carbone.

 

Un particolare che fu arginato dall’ipotesi che Carbone avesse indossato quel giorno, non si sa per quale ragione la parrucca della moglie. Si è detto che il pregiudicato fosse solito usarla nel compimento di azioni illecite, ma ciò non concorderebbe con il fatto che il presunto incontro con la Lanzino fu del tutto casuale.  Franco Pino dopo circa cinque anni dalla sua collaborazione con la giustizia ricordò di aver appreso in carcere da Romeo Calvano i particolari dell’efferato delitto. Escluse sin da subito la responsabilità dei fratelli Frangella, poi scagionati. Al termine del processo, in cui fu audito anche Calvano che smentì di avere notizie in merito all’accaduto, le dichiarazioni dell’ex boss dagli occhi di ghiaccio non sono state ritenute utili ai fini di rivelare l’identità dei veri autori del delitto. Franco Pino disse di non essere interessato alla vicenda e di non aver inteso approfondire.

 

La violenza sessuale che si consuma ai danni della giovane, cintura nera di karate, avvenne probabilmente in altro luogo visto che come definito dalla corte d’assise il luogo del ritrovamento del cadavere è talmente impervio da impedire qualsiasi tipo di sosta, anche a piedi.   Interessante invece la versione fornita dalla suocera di Remo Sansone che come scritto nella sentenza disse ad un’amica che il delitto era ricollegabile ad una vendetta contro il padre. Remo secondo le testimonianze rese conosceva Francesco Lanzino e la figlia sarebbe stata fatta uccidere per ”fargliela piangere”. Tra i Sansone e il Lanzino pare fosse sorto un alterco a causa di un prestito bancario che quaet’ultimo avrebbe dovuto fargli ottenere, ma il padre della giovane negò tale circostanza riconducendola ad un momento successivo all morte della figlia. L’occasione in cui si conobbero, secondo la versione fornita da Lanzino, fu quando Sansone e Alfiero Cesario (l’uomo di cui l’imputato parla nelle intercettazione definendolo ‘quello che ha complicato le cose’) si recarono presso la sua abitazione offrendosi di aiutarlo per individuare i responsabili del delitto in cambio del prestito.

 

Franco Sansone intercettato in carcere, nel corso della sua detenzione, affermò: ”Io non volevo andare a deporre perchè dopo che ho saputo quello che era successo me ne volevo uscire fuori non ci volevo avere a che fare. Io non vorrei essere usato come spugne per pulire i …. Non voglio c’entrare niente. Che poi io ero a Torano, non mi poteva venire una febbre! E si trava con me pure mia moglie, proprio in quel momento. Di questo fatto meno se ne parla meglio è. C’è qualcuno interessato qua che forse non vuole che si sanno le cose come sono andate. Io di cose che a me non mi riguardano non ne voglio sapere niente, facessero quello che vogliono. Io non ne parlo proprio. Tutti gli imbroglio tutte le cose l’ha complicate quello del ristorante (Alfiero Cesario) perchè sanno che lui è solo. Mi dessero altra galera io che posso fare? Potevo starmene a Torano. Invece tutte quelle luci il casino. Sono stato il primo a dire vedi che ho visto questa così così e così. Qualcuno l’ha mandato all’azienda mia? ‘C’è più di uno che si è messo a fare il furno ma io non mi preoccupo di niente perchè lui mi vuole ‘fottere’. Mi hanno tolto tutto, mi hanno distrutto. Fino a che fa comodo dici tutto, quando non fa comodo più dicono questo ci voleva confondere, sicuramente aveva qualcosa da nascondere.Perchè se non avevano preso i pezzi della macchina mia e l’avevano messi là a quest’ora può essere pure che avevano risolto utto. Quelli là che è che ha convinto la Corte con che cosa? Non vi rendete conto che sono pezzi della macchina che questa è na cosa costruita? Faceva comodo a tutti in quella maniera”.

 

 

 


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