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Channel: Maria Teresa Improta, Autore presso quicosenza
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Ex operaio Legnochimica: ‘’Finiva tutto nel Crati. I pesci morivano, ma era vietato parlare di inquinamento”

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L’ex sindaco di Rende Cecchino Principe ‘sollecitò’ la costruzione dell’impianto che sorse sui fondi agricoli del barone Giorcelli.

 

RENDE – Esiste una serie di canali sotterranei che collegano le otto vasche dell’ex Legnochimica al fiume Crati attraverso una saracinesca che veniva sollevata ‘al bisogno’. Dall’interno degli stabilimenti una rete di condotte consentiva di riversare tutti gli scarti della lavorazione nei laghi e nei terreni. A ricordarlo è un operaio nato in contrada Lecco che ha vissuto per intero la storia della fabbrica. Suo padre lavorava per il barone Giorgelli quando ancora, su dove oggi i terreni si incendiano per autocombustione, sgorgavano le sorgenti con acqua purissima. Un pensionato che ha le idee chiare sulle esalazioni maleodoranti che invadono diversi quartieri di Rende. “La puzza finirà solo quando toglieranno uno strato di terreno su tutti i 40mila metri quadrati inquinati dal tannino”. Non ha dubbi. Sa bene cosa è successo da quando nel ’69 lasciò gli studi universitari per entrare a far parte dell’organico della piemontese Legnochimica sino al suo fallimento nel 2002.

 

“E’ un circolo vizioso. Di giorno con il sole – spiega l’ex operaio con la passione della termoelettrica – gli agenti inquinanti si sollevano in aria, la sera precipitano a terra. E così il giorno dopo. La puzza che somiglia a scarpe vecchie viene da questo, prima non era così forte perché l’acqua veniva rigenerata”. “Il barone Giorcelli – racconta l’operaio – favorì i propri contadini vendendo loro i terreni con un mutuo quarantennale, subito dopo arrivarono i piemontesi che minacciarono tutti di esproprio. All’epoca Cecchino Principe, già sindaco di Rende, era sottosegretario all’Agricoltura, ricordo che fu lui a salutare di buon grado l’arrivo della fabbrica sollecitando l’approvazione della legge che consentiva al barone di vendere e ai Battaglia di Legnochimica di acquistare buona parte di contrada Lecco. Siamo così passati da un padrone all’altro.

 

Appena si cedeva il terreno venivano dopo un’ora a demolire la casa. Io però da qui non me ne sono andato, ho conservato un piccolo terreno e ci vivo. E’ la mia terra. Il danno ambientale qui è più grave di quello che si pensi. C’è una falda acquifera che attraversa l’area per intero da Nord a Sud seguendo la linea della faglia sismica che taglia la Valle del Crati da Rogliano a Tarsi. Per distruggere la nostra agricoltura, inoltre, hanno reciso tonnellate di castagni nella nostra Sila creando dissesto idrogeologico diffuso. E’ quella la legna dalla quale estraevamo masonite e tannino. Dopo aver tritato e fatto bollire a 280° il legname, il composto rimaneva a macerare 16 – 18 ore. I vapori azionavano la centrale termoelettrica alimentando buona parte dei macchinari. Poi si scaricava l’autoclave che conteneva l’acqua sporca e il succo che rimaneva dopo esser tutto evaporato veniva usato per le concerie. Quando il legno era stato macinato veniva raffinato miscelandolo con additivi chimici, da lì veniva posto su una linea continua e posto sotto una pressa. A fine anni ‘80 c’è finito anche uno di noi sotto quella pressa e per lui non c’è stato nulla da fare. E’ morto sul colpo, stritolato dai macchinari.

legnochimica

Attraverso degli impianti di canalizzazione fatti di tubi di cemento del diametro di circa un metro poi si sversava tutto nei terreni o nel Crati. Formalmente i liquami andavano nelle vasche, ma la maggior parte degli scarti chimici veniva riversata direttamente nei terreni, lo facevano anche nel mio orto. Gli ho fatto causa, ho vinto, ma non mi hanno rimborsato perché Legnochimica non ha più un euro in cassa e dovrei anche pagare fior di quattrini per bonificare il tutto prima di venderlo. Quando i lagni erano troppo pieni si approfittava della pioggia che rendeva l’acqua del Crati più scura per aprire una valvola e far scivolare tutto nel fiume. Ogni otto dieci mesi si chiamava un signore al quale il direttore piemontese dava 50mila lire e alzava la saracinesca. Noi su Gazzetta leggevamo nei giorni successivi di anomale morie di pesci nel Crati. Di inquinamento però non se ne doveva parlare. Ci ho provato mentre svolgevo attività sindacale, ma mi fu detto di stare zitto ‘’altrimenti qui chiudiamo’’. Già nel 1976 quando è stata ampliata la produzione e costruita la seconda linea si parlava della necessità di impermeabilizzare le vasche per mettere l’area in sicurezza.

 

Furono stanziati fondi, ma non venne mai fatto nulla. Io lavoravo tra le caldaie e non ho mai avuto particolari problemi di salute. Alcuni miei colleghi si sono ammalati, alcuni sono morti, ma non possiamo attribuire per ora le loro patologie al fatto che per anni hanno lavorato nei capannoni di Legnochimica. Quando le cose hanno iniziato ad andare male i Battaglia hanno cominciato a vendere. Parte della fabbrica l’ha comprata Calabra Maceri con otto milioni di euro, parte la centrale a biomasse che pare abbia acquistato il tutto spendendo oltre 32 milioni di euro e l’altra parte l’azienda l’ha ceduta a se stessa ovvero  a Silvateam un ramo d’azienda facilmente riconducibile a Legnochimica. I soldi però sono spariti anche se è da dire che a tutti noi operai, eravamo 400 nel periodo più florido, è stato pagato il TFR e con i piemontesi si guadagnava bene, nel 2000 il mio stipendio era di due milioni e mezzo di lire”.


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