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Channel: Maria Teresa Improta, Autore presso quicosenza
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Processo Bozzo, i colleghi del giornalista suicida: ”pressioni di Citrigno per tutelare gli ‘amici'”

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Nuova udienza nel procedimento che vede coinvolto Piero Citrigno, editore del quotidiano Calabria Ora, per violenza privata.

 

COSENZA – Secondo le ipotesi dell’accusa, il cronista cosentino quarantenne, sarebbe stato costretto a vivere una condizione lavorativa frustrante che lo avrebbe indotto al suicidio. Il giorno in cui si tolse la vita con un colpo di revolver aveva comunicato che sarebbe stato due giorni in malattia, chiedendo di essere sostituito. La sera precedente mentre era in redazione dopo aver ricevuto una telefonata, sconvolto, scappò via. Una collega dovette inseguirlo per dargli il cellulare e l’agenda che aveva dimenticato sulla scrivania lasciandoli lì con le pagine sul pc ancora da revisionare prima di mandare in stampa. Il giorno dopo il suo corpo giaceva privo di vita nello studio che aveva allestito nella propria abitazione di Marano Marchesato dove viveva con la moglie e la figlia di quattro anni. In una lettera di commiato poche semplici parole per congedarsi dai suoi affetti: “Sono solo stanco di vivere”. Negli scorsi mesi Citrigno, al quale suo cugino Franco Bozzo si era rivolto per fare lavorare suo figlio Alessandro, aveva rilasciato delle dichiarazioni spontanee in cui affermava che in virtù del fatto che il cronista era un suo parente, che peraltro stimava molto a livello professionale, non avrebbe mai pensato di licenziarlo.

 

Nel corso dell’udienza di ieri presso il Tribunale di Cosenza sono stati ascoltati i colleghi Marco Cribari, Francesco Pirillo, Saverio Paletta e l’ufficiale di polizia Danilo Sidoti. In circa cinque ore di discussione si è tentato di ricostruire il passaggio dalla società Paese Sera alla C & C, le due società che editavano il quotidiano della famiglia Citrigno avvenuta un anno prima del suicidio. Una transizione che, secondo l’avvocato difensore di Piero Citrigno, Raffaele Brescia, sarebbe avvenuta senza alcuna costrizione ai dipendenti. Ai lavoratori da quanto emerso nel corso delle testimonianze, sarebbero state offerte (più o meno) le medesime condizioni contrattuali e salariali, nel caso di Bozzo a parità di stipendio il contratto a tempo determinato veniva sostituito con un contratto a tempo indeterminato. Un accordo sottoscritto alla presenza del commercialista della società che il giornalista avrebbe definito un’estorsione. Tre mesi prima della sua morte la società per salvare le posizioni di tutti i dipendenti sarebbe ricorsa al contratto di solidarietà.

 

Un”autotassazione’ del salario votata dai cronisti in una clinica di Catanzaro di proprietà della famiglia Citrigno che comportò la riduzione dell’8% per tutti i colleghi. Da chi guadagnava 400 euro a i pochi ‘Articolo 1′ come Bozzo con buste paga da circa duemila euro. Cifre approssimative, ancora tutte da confermare. In aula sono inoltre emerse le pressioni che l’editore avrebbe esercitato di continuo sui giornalisti, e soprattutto su chi come Bozzo si occupava anche di politica, per tutelare i propri interessi e quelli delle persone a lui più vicine. Una realtà purtroppo diffusa, anche se in misura e forme diverse, un po’ in tutte le testate. A sottolinearlo è una dichiarazione del collega Saverio Paletta: ”della sofferenza di Alessandro forse conoscevamo solo la punta dell’iceberg. La mia intenzione è quella di non voler trasformare un processo su una tragedia umana in un processo sulle condizioni della stampa in Calabria che invece meriterebbe ben altro approfondimento”. Nessuno potrà realmente scoprire le ragioni e le angosce che hanno indotto il giornalista al suicidio. Un quadro che potrebbe fate chiarezza sarà fornito dal perito incaricato di analizzare gli scritti contenuti nel diario di Bozzo che deporrà in aula il prossimo 26 Febbraio.


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