Mentre sul Tirreno i Muto riescono a condizionare le gare d’appalto, dallo Jonio gli Abbruzzese gestiscono l’approvvigionamento degli stupefacenti dell’intera provincia.
COSENZA – “E’ l’intera provincia di Cosenza a destare grossa preoccupazione”. Una dichiarazione cristallizzata nella relazione annuale 2015 della Direzione Nazionale Antimafia pubblicata nei giorni scorsi in cui viene evidenziata l’operatività, nonostante i numerosi arresti, della criminalità organizzata: dal litorale tirrenico a quello ionico. Sodalizi dediti in prevalenza alle estorsioni, alla gestione del traffico di sostanze stupefacenti e delle armi, nonché all’usura e alle rapine.
COSCA MUTO E I RAPPORTI CON LA POLITICA
In Cetraro, da quanto emerge dal resoconto della DNA, esercita la propria influenza la cosca Muto, creata e capeggiata da Francesco Muto e da suo figlio Luigi Muto, considerato dagli investigatori l’unica persona in grado di reggere la struttura di ‘ndrangheta al posto del padre. Luigi Muto è stato scarcerato il 4 aprile 2013 ed esercita con il proprio gruppo una notevole influenza in tutti i Comuni della fascia costiera dell’alto Tirreno cosentino. Primo fra tutti Scalea dove opera avvalendosi delle cosche ‘satellite’ degli Stummo e dei Valente. La struttura criminale ha raggiunto un elevato livello di penetrazione anche nelle istituzioni locali. A testimoniarlo nell’estate 2013 l’operazione Plinius che ha portato all’arresto di 38 persone per associazione mafiosa, tra le quali il Sindaco di Scalea ed altri amministratori e funzionari dell’ente comunale che avevano praticamente vincolato la politica locale ai voleri degli esponenti di vertice del clan Muto spesso determinando l’aggiudicazione degli appalti alle imprese indicate dagli esponenti della ‘ndrangheta.
Il procedimento penale ha ricevuto già un primo riscontro giudiziario con la sentenza emessa il 3 settembre 2015 dal Tribunale di Paola, che ha condannato, fra gli altri, l’ex Sindaco di Scalea, Pasquale Basile, a quindici anni di reclusione. Nell’operazione Plinius 2 scattata lo scorso 15 maggio 2015 sono state eseguite ventuno ordinanze di custodia cautelare per associazione mafiosa finalizzata alle estorsioni, alla turbata libertà degli incanti, per calunnia, violazioni di domicilio ed usura. Dalle indagini è emersa una capillare diffusione delle estorsioni a danno di diversi commercianti ed imprenditori del luogo, costretti ad elargire, senza alcun titolo, sotto la pressione di atti intimidatori, somme di denaro che variavano in relazione al tipo di attività commerciale o imprenditoriale vessata. E’ stata anche rilevata la turbativa delle aste giudiziarie – in numero considerevole, visto il particolare periodo di crisi economica, finalizzata ad accaparrarsi immobili di notevole valore, inibendo la partecipazione di altri concorrenti sgraditi all’associazione criminale.
Attualmente sono in corso indagini sui ruoli di numerosi soggetti facenti parte di un sodalizio dedito allo spaccio di stupefacenti che collabora per rifornire il clan Muto. Si indaga anche sui rapporti tra la criminalità organizzata e il tessuto politico-amministrativo del Comune di Santa Domenica Talao. Si tratta di indagini avviate a seguito di atti intimidatori, denunciati in concomitanza con le ultime consultazioni elettorali per il rinnovo del consiglio comunale dell’ente locale, ipotizzando l’esistenza di un contesto criminale, contiguo alla cosca Muto, il quale, anche mediante tali atti intimidatori, avrebbe tentato di ottenere il controllo dell’amministrazione comunale anche ‘piazzando’ propri referenti. Sono in corso, ancora, indagini relative a delitti in materia di armi realizzati nell’area territoriale dell’alto Tirreno cosentino e ulteriori accertamenti relativi all’infiltrazione della cosca Muto in diversi settori della pubblica amministrazione.
COSCA SERPA E GRUPPI CRIMINALI DELL’HINTERLAND PAOLANO
Paola e Fuscaldo, secondo quanto emerso dalla relazione della DNA, sarebbero ‘governate’ dalla cosca Scofano – Martello – Ditto – La Rosa, contrapposta, nella cittadina paolana, alla storica cosca dei Serpa ed, in Fuscaldo, al gruppo Tundis. Il clan Scofano – Martello – Ditto – La Rosa era retto, originariamente, da Mario Scofano, referente sulla costa per le ‘ndrine cosentine. Attualmente è invece diretta dai fratelli Alessio Martello e Francesco Martello entrambi figli del defunto Luciano Martello. Nella sola Paola opera, inoltre, la cosca dei Serpa originariamente collegata, dal punto di vista criminale, a quella dei Bruni (Bella – Bella) di Cosenza.
Con i sessantadue arresti scaturiti dall’operazione Tela di Ragno del 2012 il gruppo Serpa è stato notevolmente depotenziato nonostante i rapporti che, secondo la DNA, avrebbe mantenuto con i Lanzino-Ruà di Cosenza e le cosche Gentile e Besaldo attive ad Amantea. Contemporaneamente è stata altresì proposta una misura di prevenzione personale e patrimoniale nei confronti di Nella Serpa, individuata quale personaggio di vertice dell’omonima cosca. Condannata nel 2015 a 18 anni di reclusione è l’unica donna italiana ristretta al 41 bis. La DNA evidenzia come a seguito della minore influenza dei Serpa nel paolano il gruppo Rango-Zingari abbia esteso la sua influenza demandando il compito di insediarsi sul territorio ad Adolfo Foggetti oggi collaboratore di giustizia.
COSCHE ATTIVE IN AMANTEA
Il territorio di Amantea, secondo quanto rilevato dalla DNA, è interessato dalla presenza di due gruppi criminali distinti, Gentile-Guido-Africano e Besaldo, attualmente non in conflitto per effetto di un tacito accordo e, anzi, in cointeressenza in numerosi settori illeciti. Le due associazioni criminali sono state indebolite per effetto di alcune misure cautelari e delle conseguenti condanne pronunciate nell’ambito del processo Nepetia/Enigma, tanto che gran parte degli esponenti di vertice del sodalizio risulta tuttora detenuta, primi fra tutti Tommaso Gentile e Pasqualino Besaldo. Attualmente sono in corso attività che si prefiggono l’obiettivo di individuare le nuove “leadership” sul territorio e, nel medesimo contesto, si stanno verificando le dinamiche conseguenti ad una serie di atti intimidatori subiti dagli amministratori comunali del centro.
COSCA ACRI –MORFO’ ROSSANO E I RAPPORTI CON LA POLITICA
Le attività della cosca Acri – Morfò di Rossano sono state rallentate dopo i trenta arresti scaturiti nel 2013 dall’operazione Stop. In particolare, nel corso delle indagini è stato accertato che la ‘ndrina rossanese aveva monopolizzato la distribuzione di alcuni prodotti alimentari, tra i quali il caffè torrefatto e prodotti derivati, l’acqua minerale, la birra alla spina, il pane e altri prodotti similari nonché il totale controllo nel settore dei giochi d’azzardo on line. Inoltre, il procedimento ha consentito di accertare l’ingerenza della ‘ndrina nella vita politica locale, tanto che è stato raggiunto da ordinanza custodiale un consigliere comunale al quale la cosca, con violenza e minaccia, aveva procacciato voti per le elezioni comunali di Rossano del 2010. Gli affiliati alla consorteria sono ancora oggi detenuti.
Dalle indagini ne è scaturito un nuovo dossier a carico di Domenico Morfò e Luigi Orlando. Il primo, figlio di salvatore Morfò considerato il boss della ‘ndrina rossanese, a causa dello stato di detenzione del padre pare abbia acquisito la conduzione delle aziende di famiglia, sia in ordine alla loro gestione ordinaria, sia per ciò che concerne il perseguimento dei propositi illeciti, in modo tale da agevolare il clan. È risultato, inoltre, che Salvatore Morfò, nel contesto gestionale delle imprese ha realizzato condotte estorsive ai danni dei dipendenti delle aziende stesse e si è infiltrato nella gestione delle imprese sequestrate, eludendo il provvedimento di amministrazione giudiziaria, incurante del sequestro preventivo.
STRAGE DI SAN LORENZO
Nel luglio del 2015 sono stati condannati all’ergastolo Domenico Scarola e Antonio Salvatore Scorza, autori del terribile duplice omicidio di due donne (madre e figlia) uccise, in casa a San Lorenzo del Vallo, per il solo fatto di essere parenti dell’autore dell’omicidio di Domenico Presta, figlio di Franco, reggente della ‘ndrina operante a Tarsia. Le investigazioni si sono avvalse delle dichiarazioni di Silas De Marco, congiunto delle due donne, fortuitamente scampato all’azione di fuoco. Silas De Marco a seguito dell’importante testimonianza resa è stato destinatario di una richiesta di programma di protezione quale testimone di giustizia.
CASSANO E IL MONOPOLIO DEGLI STUPEFACENTI
L’operazione Gentlemen che ha portato lo scorso anno all’arresto di Antonio Abbruzzese ed altri 44 soggetti ritenuti affiliati all’omonimo clan ha fatto luce sull’esistenza di una potente associazione per delinquere dedita all’importazione di stupefacente di vario tipo sul territorio nazionale. Gli Abbruzzese, in effetti, secondo la DNA, monopolizzano l’offerta di stupefacente per tutta la provincia di Cosenza. Luigi Abbruzzese, riforniva, oltre a tutto il territorio di Cassano allo Jonio ed a quelli contigui della Sibaritide, cioè Rossano e Corigliano Calabro, anche Cosenza e persino Scanzano Jonico in provincia di Matera. I cosiddetti ‘Zingari’, secondo quanto accertato dagli inquirenti, hanno accesso ai mercati sudamericani, per la cocaina, ed a quelli dell’est europeo, per l’eroina e la marijuana e riescono ad importare, a prezzi assolutamente concorrenziali, e con continuità, ingenti partite di stupefacente.
La marijuana arriva dall’Albania, con l’intermediazione di Dilaver Hajdini, per il tramite di vettori navali, secondo uno schema ormai routinario: un primo peschereccio salpa dall’Albania; in acque internazionali, lo stupefacente viene trasbordato in un secondo peschereccio, italiano, che approda in territorio nazionale. Gli albanesi possono importare la marijuana, via mare, solo per il tramite dei clan cassanesi, i quali acquistano una parte del carico: la restante parte viene destinata dagli stessi albanesi a loro connazionali, che la stoccano in diverse città italiane. L’eroina proviene, parimenti, dall’Albania, per il tramite di Fisnik Smajlaj, trafficante già arrestato nel 2009. Lo stupefacente viene occultato in autovetture, che raggiungono la Calabria per il tramite di traghetti di linea. La collusione con gli Smajlaj è talmente datata e consolidata che, da tempo, è stato progettato di impiantare in Cassano allo Jonio un laboratorio per sintetizzare l’eroina. Un progetto non realizzato, per ora, a causa dell’azione di contrasto delle forze dell’ordine che hanno provveduto a sequestrare diversi chili di sostanza da taglio.
La cocaina, invece, proviene dall’Olanda per il tramite di corrieri che viaggiano via terra, e dalla provincia di Reggio Calabria per il tramite di Alfonso Brandimarte di Gioia Tauro. Filippo Solimando e Luigi Abbruzzese, d’altro canto, avevano in animo di organizzare una stabile importazione di cocaina dal sud America. A tale scopo Filippo Solimando aveva costituito una società, con sede in Corigliano Calabro che si sarebbe formalmente occupata di importazione di gamberetti dall’Argentina, proprio al fine di giustificare i suoi frequenti viaggi in Sud America. L’associazione è armata, infatti, i dirigenti hanno rifornito di armi Alfonso Brandimarte che è fra i reggini che stavano organizzando le importazioni di cocaina dal sud America.
L’OMICIDIO DI COCO’ CAMPILONGO
Nell’ottobre del 2015, sono stati arrestati Cosimo Donato e Donato Campilongo, ritenuti gli autori dell’omicidio di Giuseppe Iannicelli, Ibtissam Touss e Nicola Campilongo Junior. Il terribile triplice omicidio, verificatosi nel gennaio del 2014, aveva ricevuto un risalto mediatico eccezionale, in quanto una delle vittime era un bambino di soli tre anni. Le investigazioni hanno consentito di dimostrare che, in territorio sibaritide, v’è stata una pacificazione fra le fazioni dei cosiddetti ‘zingari’ e degli ‘italiani’, che si sono, viceversa, contrapposte militarmente nel precedente periodo 2000-2008. Il procedimento ha dimostrato che esponenti delle fazioni, un tempo contrapposte, si scambiano oggi stupefacente al bisogno. I due indagati avrebbero attirato in una trappola Giuseppe Iannicelli e distrutto, per combustione, il suo cadavere, unitamente a quello della compagna, di nazionalità marocchina e del piccolo nipote. Le modalità del fatto consentono di sostenere che certamente il delitto è stato compiuto in concorso con ulteriori persone, allo stato rimaste ignote.
CORIGLIANO. ‘NDRANGHETA E POLITICA, IL CASO STRAFACE
Con l’operazione Santa Tecla e l’arresto dell’allora sindaco di Corigliano Pasqualina Straface viene scoperchiato un inquietante collusione tra ‘ndrangheta e politica locale. In particolare, l’ex primo cittadino Pasqualina Straface è accusata di concorso esterno all’associazione per delinquere di stampo mafiosa denominata “locale di Corigliano” della quale contribuiva al consolidamento e, quindi, al perseguimento del programma criminale. In particolare, in cambio dei voti procacciati in suo favore da gregari della cosca coriglianese (tra i quali erano annoverati anche i fratelli Mario e Franco Straface, Maurizio Barilari e Cosimo Damiano Conocchia alias “la bestia”) in occasione delle consultazioni elettorali comunali svoltesi in Corigliano Calabro nel giugno 2009, la donna si impegnava a garantire la destinazione dei contributi a fondo perduto che il Comune avrebbe dovuto erogare per la riqualificazione del centro storico di Corigliano, nonché a rimanere a disposizione dell’associazione, in tal modo strumentalizzando la sua funzione pubblica. Attualmente sono ancora in corso indagini finalizzate a seguire le evoluzioni ‘ndranghetistiche della sibaritide.
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‘Ndragheta a Cosenza: legami tra politica e clan, mentre i Lanzino ‘trattano’ con gli Zingari
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