I ‘pentiti’ del clan Serpa raccontano alcuni retroscena degli intrecci criminali tra Cosenza e Paola.
COSENZA – I fratelli Serpa, Giuliano ed Ulisse, continuano a ‘vuotare il sacco’. I due collaboratori di giustizia ieri sono stati ascoltati in aula durante il processo Tela del Ragno in corso di dibattimento a Cosenza. Si tratta del filone di indagini che riguarda i sette omicidi che hanno insanguinato il Tirreno a cavallo del 2000: Mario Serpa, Rolando Siciliano, Carmine Chianello, Salvatore Imbroinise alias Ciap Ciap, Luigi Sicoli, Luciano Martello ‘U biondo’ e Pietro Serpa. Un’ondata di piombo che ha travolto le cosche tirreniche modificandone gli assetti. Tre i gruppi criminali che si contendevano il territorio: quello dei Serpa insieme a Giancarlo Gravina, quello di Gennaro Ditto e Mario Scofano e infine quello composto da Giuseppe Lo Piano, Antonello La Rosa, Luciano e Mario Martello. Per ricompattare le ‘ndrine intervennero le cosche di Cosenza imponendo il ‘commissariamento’ del paolano da pagare con la metà degli utili derivanti dalle estorsioni. Ettore Lanzino, Domenico Cicero e Chiodo avrebbero voluto affidare tutto il business a Pietro Serpa, ma dopo il suo omicidio il meccanismo s’inceppa.
“Se ci mettevamo contro tre o quattro clan – spiega dal Tribunale di Cosenza Ulisse Serpa – ci distruggevano. Allora mentre Michele Bruni era latitante a casa di Nella Serpa abbiamo deciso di uccidere Vincenzo e Domenico La Rosa. Dovevano però essere ammazzati insieme, ma né io né Ernesto Foggetti e Pasqualino Besaldo che erano saliti a Roma e cercarli li trovammo mai tutti e due nello stesso posto. Anche a Valerio Salvatore Crivello è andata bene. Lui doveva morire perchè aveva partecipato all’omicidio di Pietro, a deciderlo era stata Nella. Siamo andati io e Michele Bruni con un Fiorino sotto casa sua, con tre armi ‘pulite’ che ci avevano portato da Lamezia e ci siamo messi nel cassone ad aspettare. La prima volta è uscito con la fidanzata, il padre e il fratellino, quindi non abbiamo sparato. Al suo rientro c’era il bambino davanti seduto lato passeggero e ho detto a Michele di lasciare stare.
SERPA, UNA FAMIGLIA DI ‘AMORE E ODIO’
“Se ci fosse stato solo il padre avrei sparato, lui sapeva tutto, tant’è che lo portava all’università steso sul sedile dietro per non farlo vedere in auto. Nella ci sarebbe venuta a prendere con la Smart, tanto Michele era magro e ci saremmo entrati tutti e tre in macchina. La nostra, signor giudice – ha precisato con un velo di commozione Ulisse Serpa – è una famiglia di amore ed odio. Più amore che odio. Tra noi siamo una pigna anche se quando siamo ‘litigati’. Siamo così noi. Nella si lamentava perché voleva che Martello, che aveva ordinato l’omicidio del fratello Pietro Serpa, fosse ucciso immediatamente. Io però non potevo muovermi in quel periodo perché ero in regime di sorveglianza. Un giorno abbiamo avuto un battibecco sul lungomare, le ho detto che con lei io e mio fratello Giuliano non volevamo avere rapporti. Nella per tutta risposta è andata a Cosenza dai Bruni e ha detto loro che noi volevano interrompere la collaborazione con loro e gli Zingari. Poi abbiamo chiarito”.
Un episodio che ha raccontato anche Giuliano Serpa nella scorsa udienza fornendone una versione identica. Dell’affetto che lega la famiglia Serpa, nonostante tutto, ha dato conferma anche Giuliano descrivendo l’abbraccio con il quale Nella lo accolse una volta appreso che a morire nel campo della Paolana, per ‘errore’ era stato Antonio Maiorano, un operaio idraulico della forestale di Paola e non lui. Un delitto per cui Gennaro Ditto, ritenuto il mandante, è già stato condannato con sentenza passata in giudicato. “Io lavoravo lì alla palestra- spiega Giuliano Serpa – andavo lì ogni mattina alle 7.30. Quando sono arrivato ho visto che Maiorano era seduto al sole che leggeva il giornale. Poi i colpi di pistola. Nella che mi viene a cercare e mi porta a casa sua dove c’erano Michele Bruni e la moglie Edyta. Dopo dieci minuti sono arrivati Luca Bruni e Daniele Lamanna. Me l’avevano detto, erano quattro giorni che Scofano era uscito di galera e io dovevo ”tenere gli occhi aperti”. Mi avevano infatti fatto notare che Mario Martello dalle 1.15 alle 7.30 ogni mattina stava davanti il mio lavoro ad aspettare poi mi vedeva e andava via”.
GLI ATTENTATI AI ‘COSENTINI’
“C’è stato un momento – afferma Giuliano Serpa – in cui ci siamo resi disponibili per dare man forte ai Bella – Bella. Avevamo organizzato insieme a Michele Bruni di uccidere Ettore Lanzino e Domenico Cicero a Nocera Terinese dove sapevamo che i due si sarebbero dovuti incontrare. Da Cosenza è venuto Luca Sabato e siamo partiti per Nocera a fare un sopralluogo sul posto per controllare le vie di fuga. Dovevo essere io a sparare, lo avevo già detto che non mi sentivo di guidare e preferivo maneggiare armi. Le pistole le avevo trovate, avevo portato anche una calibro 38 a Michele Bruni il quale voleva vendicare il padre perchè riteneva che Cicero e Lanzino fossero responsabili della sua uccisione. Poi non se n’è fatto più niente. Michele non era convinto del legame con gli Zingari, ma io glielo dissi che non poteva sicuramente lottare da solo contro Cicero e Lanzino. Comunque non era la prima volta che cercavamo di colpire i ‘cosentini’. Negli stessi anni infatti ricordo che una volta siamo andati vicino casa dei fratelli Di Puppo. L’obiettivo era accoltellarli entrambi quando uscivano dall’abitazione. Appostati nel quartiere però c’erano i carabinieri quindi siamo andati via senza compiere alcuna azione. Nel frattempo prima di morire Guerino Serpa mi aveva fatto una domanda strana: ‘Se sai che Nella vuole ucciderti che fai?’. ‘L’ammazzo’ risposi. Dopo poco scoprì che Nella stava organizzando un attentato ai miei danni”. Una dinamica difficile da comprendere all’interno di una famiglia unita da affetto incondizionato. Ma poi in fondo il fratello minore di Giuliano, Ulisse, l’aveva sostenuto con vigore poco prima nella stessa aule. E’ amore sì, ma condito con rancori mai sopiti e sete di vendetta, forse, ancora oggi difficile da placare.
ESITO SENTENZA TRIBUNALE DI PAOLA
Di seguito l’esito della sentenza pronunciata dal Tribunale di Paola nel corso del processo che ha riguardato il filone d’indagini relativo ai reati di associazione ed estorsioni.
Mario Serpa 20 anni di detenzione
Nella Serpa 18 anni di detenzione
Francesco Tundis 10 anni e 4 mesi di detenzione
Gennaro Ditto 18 mesi di isolamento diurno (già condannato all’ergastolo)
Antonio DItto 3 anni di detenzione
Carmela Gioffrè 3 anni di detenzione (già condannata a 13 anni)
Giovanni Abbruzzese 15 anni di detenzione
Adamo Bruno 1 anno e sei mesi di detenzione
Antonio Buono 3 anni di detenzione
Giovanna Carratelli 10 anni di detenzione
Aldo Caruso 4 anni di detenzione
Valerio Salvatore Crivello 10 anni di detenzione
Giuseppe Curioso 4 anni e 3 mesi di detenzione
Vincenzo Dedato 2 anni e 6 mesi di detenzione
Maurizio Giordano 1 anno e 6 mesi di detenzione
Giuseppe Lo Piano 11 anni di detenzione
Alessio Martello 3 anni e 4 mesi di detenzione
Mario Martello 9 anni e 3 mesi di detenzione
Mario Mazza 15 anni di detenzioneFabrizio Poddighe 10 anni di detenzione
Ilario Pugliese 3 anni e 6 mesi di detenzione
Gino Serpa 3 anni di detenzione
Giuliano Serpa 6 anni e 5 mesi di detenzione
Livio Serpa 10 anni di detenzione
Ulisse Serpa 3 anni di detenzione
Francesco Pino Trombetta 3 anni e 4 mesi di detenzione
Pietro Sebastiano Vicchio 3 anni e 6 mesi di detenzione
Assolti
Paolo Brillantino
Stefano Di Vanno
Antonio Esposito
Luca La Rosa
Patrizia La Rosa
Liberato Martello Panno
Mario Matera
Umile Miceli
Andrea Occhiuzzi
Alessandro Serpa
Giuseppe Sirufo
Francesco Porco
Michele Tundis
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Omicidi nel paolano, parla Giuliano Serpa: “Io ero disponibile così come Luca Bruni”
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