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Channel: Maria Teresa Improta, Autore presso quicosenza
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Villa Verde, parla il ‘pentito’ Lo Vato: “Champagne e Rolex per ‘oleare’ i medici”

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Perizie psichiatriche studiate a tavolino e pagate in contanti per favorire i detenuti ristretti ai domiciliari nella clinica alle porte di Cosenza.

 

COSENZA – “Facevo parte del clan Forastefano, mi occupavo di truffe”. Samuele Lo Vato collaboratore di giustizia dal 2010, oggi ascoltato nel corso del processo sulle ‘allegre’ perizie di Villa Verde in corso presso il Tribunale di Cosenza, ha tentato di ricostruire i meccanismi per favorire i sodali del ‘crimine’. Alla sbarra tre medici  Gabriele Quattrone di Reggio Calabria, Franco Antonio Ruffolo di Rogliano, Arturo Luigi Ambrosio di Castrolibero e la moglie di Antonio Forastefano, Caterina Rizzo mentre un altro dei sanitari in forze nella struttura sanitaria di Donnici, Massimiliano Cardamone è in attesa del rito abbreviato. Per le false perizie psichiatriche il collaboratore di giustizia Lo Vato insieme al dottor Pasquale Barca è stato già condannato a due anni e sei mesi di detenzione. Incalzato dalle domande del pm della DDA Saverio Vertuccio inanzi al collegio giudicante presieduto dal giudice Enrico Di Dedda il ‘pentito’ ha iniziato a raccontare la sua versione dei fatti.

 

“Ho pensato di essere ancora giovane per avere un futuro diverso per me e la mia famiglia. Quando ho deciso di collaborare con la giustizia – spiega Lo Vato – mi stavo organizzando per evadere e darmi alla latitanza. Il gruppo di Mantella, che avevo conosciuto a Villa Verde, mi avrebbe ospitato in una villa di Pizzo Calabro dove avrei incontrato Salvatore Morelli ed un altro uomo anch’egli già latitante. Prima di entrare in clinica ero detenuto nel carcere di Spoleto in regime di 41 bis. Non avevo colloqui con i miei familiari e questo aveva causato in me un senso di abbandono. Non riuscivo più a mangiare, stavo male, arrivai a pesare 51 chili e a perdere la capacità di deambulare. Ero depresso e su una sedia a rotelle, ma ci mettevo molto del mio per accentuare il mio malessere. Più volte ho tentato di suicidarmi. Mi trasferirono quindi nel penitenziario Lo Russo di Torino per un periodo di osservazione. Io stavo a letto tutto il giorno. Una sera mi sforzai e mangiai del purè. Questo fece loro decretare che ero ormai guarito dalla mia depressione quindi mi rispedirono a Spoleto, sempre in regime di carcere duro.

 

Tentai nuovamente il suicidio facendo un cappio con un lenzuolo. Ho perso i sensi, qualcuno è entrato in cella e mi ha rianimato. Nel 2008 il dottor Cardamone a visitarmi, ero ormai pelle e ossa. Grazie alla sua perizia fui trasferito a Villa Verde agli arresti domiciliari. Ero al quarto piano insieme ai TSO e a chi aveva seri problemi psichiatrici, urlavano di notte e di giorno. A portarmi dal professore Ambrosio per conoscerlo furono gli stessi infermieri, era una consuetudine. Con la sedia a rotelle mi portavano ogni giorno nel salone con tutti gli altri, detenuti e pazienti semplici. Tutti conoscevano il mio calibro criminale visto che venivo dal 41 bis. A spiegarmi come funzionasse fu Domenico Barillaro del vibonese, mi disse che grazie ai rapporti tra Mantella e Ambrosio si poteva essere trasferiti al secondo piano. Qui non ci sarebbe stato bisogno di prendere la terapia. Era molto importante per noi perché, di base, fingevamo e non volevamo assumere psicofarmaci. Quando Mantella tornò in clinica, dopo le festività natalizie trascorse a casa grazie ad un permesso, diventammo amici.

 

Era normale che succedesse, poi in fondo appartenevamo entrambi al ‘crimine’. Mi spiegò tutto confessandomi di avere una particolare influenza sul direttore Ambrosio a cui però andava fatto un ‘regalino’. Però io non potevo essere subito trasferito perchè ero sulla sedia a rotelle, quando iniziai a camminarono mi spostarono giù al secondo piano. C’era una retta mensile da pagare, tra i 700 e i 1000 euro, ma non la pagai mai. Feci subito arrivare dello champagne per Ambrosio. Era solo uno dei ‘pensierini’ che gli facevamo. Mantella ‘oleava’ Ruffolo e Ambrosio con profumi, occhiali, rolex, copriletto, forme di parmigiano, prosciutti, scooter, auto e finanche delle poltrone in pelle che montammo insieme nel suo studio. Personalmente ho assistito al trasferimento di Alessandro Manzo e Marco Bevilacqua, mentre per Ciccio Scrugli (amico del cuore di Mantella nonché marito di sua sorella) mi ricordo la stanza singola al secondo piano era già pronta ancora prima che lui arrivasse.

 

Io però volevo tornare a casa dalla mia famiglia. Per farlo bisognava pagare. Era necessario compilare le cartelle a dovere per certificare le patologie in modo da poter avere i permessi e magari gli arresti domiciliari nella propria residenza. Serviva una consulenza di parte: 2.500 euro. Soldi con i quali si poteva attestare che si erano avuti dei miglioramenti, ma ancora persistevano delle crisi incompatibili con il regime carcerario. Così si poteva rientrare in famiglia nel week end. Il denaro andava dato a tutti: al perito, ad Ambrosio, all’avvocato e al professore compiacente della consulenza. Per ‘portarmi avanti’ chiesi a mia moglie di farsi dare dei soldi in più da Salvatore Maritato, il quale mensilmente si occupava di farmi avere lo ‘stipendio’ di mille euro circa. Recuperato il denaro diedi mille euro di ‘anticipo’ ad Ambrosio, ma dopo un po’ di tempo caddero nel dimenticatoio. Mantella intanto era già riuscito ad uscire libero con le relazioni redatte dal dottor Buccomino. Le mie dovevano essere identiche. Solo così potevo tornare da mia moglie e mia figlia”. Terminata la prima parte della deposizione di Lo Vato il processo è stato aggiornato al prossimo 23 dicembre quando il collaboratore di giustizia continuerà a parlare dell”allegra’ depressione dei detenuti di Villa Verde.

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