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Channel: Maria Teresa Improta, Autore presso quicosenza
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Silletta ucciso in Sila per questioni di ‘rispetto’ dall’ex boss pentito

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Francesco Oliverio a giudizio dopo aver ricostruito la dinamica dell’uccisione del macellaio di San Giovanni in Fiore attirato in una trappola fingendo la compravendita di un vitello.

 

SAN GIOVANNI IN FIORE (CS) – Un trentaseienne brutalmente assassinato e una consorteria criminale che dalle pendici della Sila riesce a far business con il nord Europa: Antonio Silletta e il Locale di Belvedere Spinello. Con l’operazione Six Town, nell’ottobre dello scorso anno, si è iniziato a fare chiarezza sulle dinamiche delle ‘ndrine arroccate nella zona montuosa tra le province di Cosenza e Crotone. Duecento uomini tra carabinieri e polizia entrarono in azione tra le ‘sei cittadine’ (Belvedere Spinello, Rocca di Neto, Caccuri, Cerenzia e Castelsilano, San Giovanni in Fiore) e varie località delle province di Milano, Pavia, Varese e Monza-Brianza.

 

Trentasei in tutto le persone tratte in arresto con le accuse, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso (sotto la ‘supervisione’ del Crimine di Cirò); traffico di sostanze stupefacenti e armi; estorsioni; favoreggiamento di latitanti; ricettazione, anche di macchine agricole; furti; corruzione elettorale e omicidi. Quattro gli assassinii attribuiti al gruppo facente capo alla famiglia Marrazzo (Tommaso Misiano, Gaetano Benincasa, Antonio Silletta e Francesco Iona) cui business, con ramificazioni anche in Belgio ed Olanda, veniva gestito nei sei Comuni silani e nella zona Rho di Milano da Francesco Oliverio oggi collaboratore di giustizia.

 

Grazie alle sue dichiarazioni è stato possibile ricostruire la dinamica dell’omicidio di Antonio Silletta per anni attribuito ad ignoti. Un’esecuzione avvenuta per questioni di ‘rispetto’, che la magistratura non ha esitato a definire ‘futili motivi’. Insieme ad Antonio Blaconà, l’ex boss è accusato di essere il mandante e l’esecutore materiale del delitto. Con un appuntamento-trappola in cui si paventava la compravendita di un vitello, Silletta incontrò i due dopo essere stato accompagnato da alcuni amici in agro di Caccuri. Lì venne freddato con un fucile caricato a pallettoni, una pistola parabellum 7.65 e una calibro 38.

 

Il corpo privo di vita e crivellato di colpi fu poi caricato nel suo stesso fuoristrada e dato alle fiamme. Era il 30 dicembre del 2006. Le forze dell’ordine ritrovarono la carcassa della vettura ormai carbonizzata solo dopo qualche giorno. La madre di Antonio Silletta, Serafina Mosca stimata insegnante di San Giovanni in Fiore, che ne aveva denunciato la scomparsa appresa la notizia della morte del figlio muore a distanza di poche ore, colpita da un infarto fulminante. All’epoca il boss pentito Francesco Oliverio tra le montagne della Sila imponeva il pizzo usando armi ed intimidazioni.

 

Metodo usato anche per convincere gli spacciatori di eroina e cocaina ad acquistare da lui lo stupefacente. Chi non rispettava le regole era destinato a morte certa. Così fu per Antonio Silletta, macellaio reo di non riconoscere l’autorità di Oliverio nelle attività illecite che avrebbe posto in essere in quel periodo per ‘arrotondare’. Apparentemente, secondo quanto raccontato dal collaboratore di giustizia, la scintilla scattò quando il macellaio chiese a titolo estorsivo una somma di denaro ad un familiare dei Marrazzo per conto di un acerrimo rivale: Guirino Iona.

 

Francesco Oliverio nelle sue testimonianze ha affermato che nel delitto furono coinvolti anche: Domenico Diano (ferito perché protestò durante l’esecuzione del Silletta), Spina Iaconis Paolo e Agostino Marrazzo (quest’ultimo arrestato durante l’operazione Six Town). Il prossimo 13 novembre nell’aula bunker di Catanzaro il Gup Pietro Scutere dovrebbe pronunciarsi in merito alle posizioni di Francesco Oliverio e Antonio Blaconà i quali hanno scelto di essere giudicati con rito abbreviato. Intanto la famiglia Silletta, costituitasi parte civile, assistita dai legali dello Studio Legale Internazionale di Rende Pasquale Gallo, Alfonso Cassiano e Rossella Reda, attende giustizia dopo dieci lunghi anni trascorsi dalla scomparsa del proprio congiunto senza un responsabile.
 

In foto l’auto di Antonio Silletta

 
 

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