Quantcast
Channel: Maria Teresa Improta, Autore presso quicosenza
Viewing all 778 articles
Browse latest View live

Dal vota Battaglia su tutti i muri, al vota Battaglia ”tanto non ti vedono” (VIDEO)

$
0
0
Immagine

Il gemello di ‘Leo Battaglia alla Regione’, candidato consigliere alla Provincia di Cosenza, lancia un videomessaggio chiedendo di essere votato. 

 

COSENZA – Francesco e Leo Battaglia. Due gemelli con la passione della politica. Figli d’arte di Leo Battaglia senior noto politico socialdemocratico di Castrovillari. Dalle pendici del Pollino all’altopiano della Sila, passando per la città di Cosenza, tutti hanno letto per decine di volte l’invito a votare ‘Leo Battaglia alla Regione’. Evidentemente in pochi hanno ritenuto opportuno accettare il consiglio tant’è che il noto ‘Leo Battaglia alla Regione’ non ha racimolato nel 2014 i voti necessari a sedere tra i banchi del Consiglio regionale. Ciò non gli ha però impedito di accaparrarsi comunque una poltrona, quella di responsabile regionale del Dipartimento Sicurezza e Immigrazione. Suo fratello gemello, consigliere comunale di Castrovillari, è candidato alla carica di consigliere della Provincia di Cosenza nelle prossime elezioni che si terranno il 29 Gennaio. Candidato sindaco a Castrovillari con la lista Fratelli d’Italia e Alleanza Nazionale si presenta alla competizione elettorale provinciale (in cui vi è solo un candidato alla carica di Presidente) con la lista Cosenza Azzurra. A votare, come noto, dopo la riforma Delrio non saranno i cittadini, ma i consiglieri comunali e i sindaci di tutti i Comuni della Provincia. E’ a loro che si rivolge con una tessera elettorale in mano Francesco Battaglia in un videomessaggio in cui chiede di essere votato. Invitando i ‘grandi elettori’ a scegliere il suo nome Battaglia nel video afferma: “noi di destra abbiamo delle ideologie. Non siamo quelli a cui l’onorevole di turno dà una pacca sulla spalla e cambiamo espressione di voto. Noi votiamo a chi vogliamo. Tanto nella cabina elettorale non vi vede nessuno”. Un ragionamento lievemente contradditorio, in cui si esalta la qualità del non tradire le proprie ideologie in cambio di ‘favori’, mentre si ricorda che comunque lo si può fare nella segretezza della propria cabina.

 

LEGGI ANCHE

 

I nomi di tutti i candidati per il rinnovo del Consiglio della Provincia di Cosenza

 

Contro ‘Leo Battaglia alla Regione’ che imbratta le strade,

una petizione e una pagina Facebook

 

Si voterà per eleggere il presidente della provincia di Cosenza,

ma con un solo candidato (AUDIO)

 

 

 

L'articolo Dal vota Battaglia su tutti i muri, al vota Battaglia ”tanto non ti vedono” (VIDEO) sembra essere il primo su QuiCosenza.it.


Quanto si spende all’Annunziata? L’Ospedale di Cosenza finanziato dai cittadini con 191 milioni di euro

$
0
0
ospedale_annunziata_cosenza_copia

I conti dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza. Alle cooperative circa 800mila euro al mese per le pulizie. Cinquantaquattro milioni di euro per gli stipendi dei dirigenti.

 

COSENZA – L’Ospedale di Cosenza non produce solo sequestri e malasanità. Lo dicono i bilanci e il direttore generale Achille Gentile. L’Annunziata eroga ogni mese 1.700 stipendi ad altrettanti dipendenti, 300 dei quali esterni. Con 705 posti letto, che raramente restano inutilizzati, fornisce prestazioni sanitarie a ciclo continuo ad una comunità di oltre 750mila abitanti. Inoltre, essendo l’Azienda Ospedaliera più grande della Calabria, con la sua contabilità apparentemente ‘sana’ contribuisce a ripianare il debito che ha portato la Regione Calabria al commissariamento del settore sanitario. “Non è un’azienda con debiti” rassicura la direttrice dell’Ufficio Gestione e Risorse Economiche e Finanziarie Annamaria Malavasi. Dal 1995 ad oggi sono state accumulate 250 milioni di euro di perdite, coperte sistematicamente con contributi pubblici della Regione Calabria. Ad oggi le passività nonas-ospedale-cosenza-12n superano i due milioni di euro, mentre a conti fatti il bilancio d’esercizio del 2015 si è chiuso con un attivo di circa 25mila euro.
 
In più, dal preconsuntivo del 2016, si evince che anche per l’anno appena trascorso il bilancio sarà chiuso in pareggio. La Regione Calabria ha finanziato l’Azienda Ospedaliera di Cosenza nel 2015 con 182 milioni di euro, mentre i pazienti hanno alimentato le casse ospedaliere, con il pagamento del ticket, per un importo di oltre due milioni di euro. Ad una spesa annua di 187 milioni di euro all’Annunziata corrispondono ‘incassi’ per 191 milioni di euro, di cui 96 milioni di euro pagati dalla Regione per coprire le spese dei ricoveri. Anche quando i ‘conti’ non tornano la collaborazione tra enti permette di riallineare tutto facilmente. All’Annunziata lo scorso anno pare fossero stati accreditati 8.701.684 di euro, ma non si capiva a che titolo. Nel ‘non sapere’ con buona pace degli uffici regionali e degli amministrativi dell’AO di Cosenza, gli otto milioni e settecentomila euro sono stati scorporati dai debiti che la Regione ha contratto con l’Annunziata che ammontano ad oggi a 69 milioni di euro.

 

QUANTO SI SPENDE PER GESTIRE L’OSPEDALE DI COSENZA

La gestione dell’Annunziata costa all’anno, in totale, 191 milioni di euro. Circa sedici milioni di euro al mese. Il 70% della spesa, come spiega la direttrice dell’Ufficio Gestione e Risorse Economiche e Finanziarie, Annamaria Malavasi, serve a coprire i costi del personale. Infatti per avere un ospedale con, se va bene, un paio di medici di turno alla domenica in Pronto Soccorso si spendono 108 milioni di euro. Il 50% dei costi per retribuire i lavoratori, ben 54 milioni di euro, serve a coprire solo gli stipendi dei dirigenti sanitarnas-ospedale-cosenza-33i, medici ed amministrativi che, ovviamente sono numericamente inferiori rispetto all’esercito di operatori socio – sanitari, medici, infermieri, impiegati e addetti ai vari servizi. Passando ai costi che vengono sostenuti, sempre a spese dei contribuenti spesso delusi dalle prestazioni sanitarie rese dall’Annuziata, risulta utile notare come i servizi non sanitari acquistati da esterni ammontano a circa 27 milioni di euro l’anno. Ogni mese per pulire corridoi, stanze, sale operatorie, ambulatori e uffici l’Annunziata quindi paga alle cooperative 770mila euro.
 
Nel dettaglio: due milioni e 700mila euro per la lavanderia, oltre nove milioni e duecentomila euro per le pulizie, poco più di tre milioni di euro per la mensa, quattro milioni di euro per riscaldamenti ed elettricità, 746mila eunas-ospedale-cosenza-42ro per le utenze telefoniche, per l’assistenza informatica e la manutenzione dei computer vengono spesi trecentomila euro (pochi visti i continui disagi ai sistemi informatici degli sportelli per prenotazione e ticket che spesso risultano bloccati) e 400centomila euro per lo smaltimento rifiuti. Su quest’ultimo punto è doveroso ricordare il sequestro avvenuto in ottobre sia dell’area della differenziata gestita da Ecologia Oggi di Eugenio Guarascio patron del Cosenza Calcio, sia dell’area dei rifiuti speciali gestiti, pur non essendo da dieci anni affidato formalmente un appalto, da Salvaguardia Ambientale società riconducibile ai Vrenna, i patron del Crotone Calcio proprietari della discarica di Celico. Quaranta milioni di euro nel 2015, sono stati invece spesi per l’acquisto dei farmaci. Nello stesso anno le consulenze esterne sanitarie sono aumentate del 393%, anche se dalla dirigenza chiariscono che si tratta di borse di studio per sperimentazioni di farmaci e trapianti.

 

QUAL’E’ LO STATO DI ‘SALUTE’ DELL’OSPEDALE DI COSENZA

Il bilancio d’esercizio 2015 dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza risulta apparentemente sano, ma in realtà rivela tutta la drammaticità in cui versa l’Annunziata. Un documento che certifica la condizione di un’azienda che cerca di tagliare su tutto, (un esempio: le rimanenze in magazzino di beni sanitari come i farmaci ridotte del 603% e beni non sanitari come la cancelleria – 341%) riducendo all’osso gli investimenti e facendo crescere solo le spese per i finanziamenti in stato d’emergenza aumentati del 66%, ovvero circa un milione di euro. Il dato incoraggiante è che il bilancio si chiude in positivo, con uno sguardo a ciò che preoccupa i cittadini: il fantasma della malasanità bruzia. Rispetto al 2014 infatti sono stati aumentati del 900% i fondi di accantonamento per rischi ed oneri passando da 190mila euro a un milione e 900mila euro, parte dei quali sarebbero destinati a coprire eventuali eventi negativi.ospedale-cosenza-annunziata
 
Dalle cronache e dal panorama reso dai corridoi dell’Annunziata la condizione dell’Ospedale di Cosenza sembrerebbe alquanto preoccupante. Il direttore generale dell’Azienda Ospedaliera però rassicura che il nosocomio bruzio non è ‘malato’. “I conti sono in ordine”, afferma il direttore generale Achille Gentile il quale intende rassicurare i pazienti terrorizzati dal poter incorrere in errori medici. “I casi di malasanità nella nostra Azienda Ospedaliera – spiega Gentile – vengono sempre puniti con il licenziamento nei casi di condanna definitiva. Ad ogni denuncia inoltre, di routine, viene avviato un procedimento disciplinare interno volto ad accertare eventuali responsabilità”. Insomma i soldi ci sono, le regole vengono rispettate, ma non si capisce perché all’Annunziata, secondo i pazienti, regni ancora il caos.

L'articolo Quanto si spende all’Annunziata? L’Ospedale di Cosenza finanziato dai cittadini con 191 milioni di euro sembra essere il primo su QuiCosenza.it.

Triplice omicidio di Cassano, pentiti in aula parlano di eroina e ‘infamate’

$
0
0
news_img1_78413_auto-coco

Tre collaboratori di giustizia oggi a Cosenza hanno tentato di ricostruire le ragioni che avrebbero portato all’uccisione di Cocò Campolongo, Ibtissam Touss e Giuseppe Iannicelli.

 

COSENZA – Tre corpi carbonizzati in una Fiat Punto in agro di Cassano allo Jonio. Il pluripregiudicato cinquantaduenne Giuseppe Iannicelli, il nipotino di tre anni Coco’ Campilongo e la compagna del nonno, la marocchina di ventisettenne Ibtissam Touss furono trucidati senza pietà, nei pressi di un casolare abbandonato poco distante dalla loro abitazione. Un delitto efferato portato a termine con freddezza, per ragioni ancora da tutte chiarire. Oggi in aula dove si sta celebrando il processo a carico dei due unici imputati del triplice omicidio, Cosimo Donato e Faustino Campilongo, tre collaboratori di giustizia della sibaritide hanno tentato di chiarire il contesto in cui è maturato il delitto. Inanzi al collegio giudicante della Corte d’Assise del Tribunale di Cosenza presieduto da Giovanni Garofalo con a latere il giudice Francesca De Vuono i ‘pentiti’ hanno rivelato alcuni particolari della vita di Iannicelli. Incalzati dalle domande del pm Saverio Vertuccio, i collaboratori hanno dato versioni parzialmente differenti su quello che era il ruolo di Iannicelli all’interno del panorama criminale della sibaritide.

 

LE DICHIARAZIONI DEL COLLABORATORE DI GIUSTIZIA ANTONIO FORASTEFANO

In videoconferenza da località protetta l’ex boss Antonio Forastefano ha chiarito i rapporti del suo clan con Iannicelli. “Lo conoscevo da anni. Quando io divenni il capo del clan dopo la guerra di mafia, – ha spiegato Antonio Forastefano – ha iniziato a vendere la droga per me. Prima lavorava per gli zingari, che io abbia memoria sin dal 1998 ha sempre spacciato. Dopo che io presi il controllo Giuseppe Iannicelli chiese di incontrarmi. Eduardo Pepe e Fioravante Abbruzzese erano stati già uccisi ed io ero latitante, ma fissai con lui un appuntamento in un terreno e gli imposi di acquistare da me eroina e cocaina, altrimenti sarei stato costretto ad ucciderlo. Era una scelta obbligata. Quando lo arrestarono era la moglie che veniva a ritirare la droga da me. Non credo avesse problemi con gli Zingari, però in mia presenza parlava male della famiglia Abbruzzese dicendo che non riusciva a guadagnare abbastanza denaro”.

 

LE DICHIARAZIONI DEL COLLABORATORE DI GIUSTIZIA PASQUALE PERCIACCANTE

Il collaboratore di giustizia Pasquale Perciaccante, cognato di Iannicelli, si è presentato in aula e dinanzi al collegio giudicante ha tentato di far comprendere quale posizione rivestisse il suo congiunto all’interno della cosca. “Ero un affiliato al clan degli Abbruzzese di Lauropoli, – ha chiarito Perciaccante oggi in aula – una consorteria prima guidata da Franco Abbruzzese ‘Dentuzzo’ e poi da Eduardo Pepe. Iannicelli spacciava eroina a Cassano, gliela vendevamo noi la veniva a prendere a Lauropoli. Aspirava ad un ruolo maggiore, di vertice, più indipendente, ma più volte gli era stato ribadito che lui doveva vendere la droga. E basta. Infatti non aveva nessuna informazione su agguati e sulle altre attività del clan. Per tenerlo buoni gli fecero anche una finta affiliazione, la terza, ma era solo un trucco perché in realtà non aveva nessun valore in quanto invece di cinque referenti era avvenuta alla presenza di solo Franco Abruzzese e Nicola Bevilacqua. In realtà non lo volevano nel clan perché parlava troppo, però era utile per smistare l’eroina. Quando abbiamo capito che comprava la droga dai Forastefano gli abbiamo chiarito che se avesse continuato così sarebbe stato ammazzato come Antonio Bevilacqua ‘Popin’.

 

Il fratello, Battista Iannicelli, più volte mi aveva confessato di esser guardato con sospetto ogni volta che andava alle case popolari a Timpone Rosso. Diceva che gli zingari lo odiavano, che gli avevano fatto il segno della pistola una volta in piazza. Si diceva che volesse collaborare con la giustizia per non farsi uccidere. In più era accusato di aver ‘infamato’ Fiore Abbruzzese, figlio di Franco Abbruzzese ‘Dentuzzo’, quando nel corso di una perquisizione gli trovarono a casa dei caricatori e dei kalashnikov. Iannicelli infatti, si diceva, che avesse detto alle forze dell’ordine che le armi erano di Fiore. Già nel 2004 quando io ero in carcere a Catanzaro avevamo fatto una riunione in cui c’erano anche Mario Bevilacqua, Andrea Abbruzzese e Tommaso Iannicelli e lì si era deciso che ‘appena usciti lo facciamo fuori’. Mi è stato raccontato da Battista che Iannicelli il giorno in cui è morto aveva un appuntamento a Sibari, ma era una trappola. A Sibari non c’è mai arrivato è stato ucciso vicino casa sua. Che io sappia ha sempre comprato la ‘nera’ alle case popolari, dalla famiglia Abbruzzese dal ’98 fino alla sua morte”,

LE DICHIARAZIONI DEL COLLABORATORE DI GIUSTIZIA DOMENICO FALBO

 

L’ultimo dei ‘pentiti’ a testimoniare oggi in aula è stato il trentacinquenne Domenico Falbo. “Appartenevo al clan dei Forastefano, – ha raccontato Falbo – conoscevo Giuseppe Iannicelli perché abitava nel mio quartiere. Era molto vicino agli Abbruzzese e spacciava eroina e cocaina dalla fine degli anni ’90 quando ancora si poteva vendere in maniera ‘libera’ senza il condizionamento dei clan. Quando il cognato Pasquale Perciaccante gli ha presentato gli Abbruzzese ha iniziato a collaborare con loro. Poi ad un certo punto ha iniziato a rifornirsi dai Forastefano di nascosto dagli zingari. Viceversa comprava la droga dagli Abbruzzese senza far sapere nulla ai Forastefano. A dicembre in carcere ho conosciuto un collaboratore di giustizia che ha frequentato Faustino Campilongo nel penitenziario di Torino. Mi ha raccontato che gli aveva confessato di essere stato costretto ad uccidere Iannicelli con il bambino e la fidanzata. Era un gesto che dovevano compiere per dimostrare la fedeltà al clan degli zingari e poter entrare nella consorteria a pieno titolo. I mandanti secondo la sua versione sono gli zingari”.

 

 

LEGGI ANCHE

 

Triplice omicidio a Cassano, quel ‘mi piace’ su facebook cliccato dopo la scomparsa

 

Le foto osé di Iannicelli sul cellulare, i retroscena del delitto di Cocò Campolongo (VIDEO)

 

Omicidio Cocò, giallo su chi guidava l’auto del nonno

 

Triplice omicidio di Cassano, il nonno di Cocò seguì in auto una Fiat Uno

L'articolo Triplice omicidio di Cassano, pentiti in aula parlano di eroina e ‘infamate’ sembra essere il primo su QuiCosenza.it.

Noto latitante cosentino arrestato dai carabinieri a Rende (VIDEO)

$
0
0
Marsico

L’uomo è ritenuto uno degli esponenti di spicco del clan Lanzino.

 

COSENZA – Schermata-2016-06-09-alle-12-700x400Walter Gianluca Marsico non è più latitante. Il noto pluripregiudicato quarantottenne cosentino, ritenuto uno degli esponenti di spicco del clan Lanzino, è stato arrestato all’alba di stamane. Di lui si erano perse le tracce dal 20 aprile scorso quando gli era stata comminata una pena definitiva pari trenta anni di reclusione per l’omicidio Marchio. Il ‘bandito in carrozzella’ era stato freddato a colpi di pistola nei pressi della sua abitazione a Serra Spiga nel 1999, Stamattina il ricercato è stato rintracciato a Roges di Rende dai carabinieri della compagnia di Cosenza ed alle 9.00 è stato tradotto presso il comando provinciale di  via Popilia in attesa delle disposizioni dell’autorità giudiziaria. Nell’appartamento del residence Da Vinci, in cui si trovava al momento dell’arresto, era presente un’altra persona indagata a sua volta per favoreggiamento.

Si tratta di Carlo Morrone, qurantaseienne cosentino già noto alle forze dell’ordine. Al momento dell’arresto il latitante pare stesse dormendo. All’interno dell’abitazione, che era stata acquisita in locazione attraverso un nominativo e documenti di copertura, non è stato rinvenuto alcun tipo di arma. Walter Gianluca Marsico, secondo alcune ipotesi investigative, sino ad oggi pare fosse l’unico degli ‘italiani’ non recluso in carcere in grado di gestire gli affari del clan. Alcuni collaboratori di giustizia lo hanno nelle loro deposizioni indicato come il soggetto incaricato di gestire l’usura (e buona parte delle estorsioini) in città grazie ad un accordo siglato nel carcere di Siano a Catanzaro tra il clan Perna e il gruppo Lanzino.

LEGGI ANCHE

Il neolatitante cosentino Walter Gianluca Marsico ancora irreperibile

L'articolo Noto latitante cosentino arrestato dai carabinieri a Rende (VIDEO) sembra essere il primo su QuiCosenza.it.

A Rende bimbi disabili senza terapia, 200 in lista d’attesa dal 2014. Mamme fuoriose

$
0
0
Schermata 2017-02-03 alle 14.28.48

Da lunedì non avranno più diritto alle cure perché l’Asp di Cosenza non ha i soldi per rinnovare il contratto alle terapiste. Accesa protesta su via Alimena.

 

COSENZA – Il diritto alle cure garantito solo per chi ha fior di quattrini da spendere in centri specialistici privati. Tra due giorni si consumerà l’ennesima vergogna della sanità calabrese. Due delle poche terapiste del Centro di Neuropsichiatria Infantile e Riabilitazione dell’età Evolutivadi Rende, che ha un bacino d’utenza che va da Rende alla Presila passando dalla Valle del Crati, da lunedì non si presenteranno più al lavoro. Il loro contratto non è stato rinnovato e non ci sono i soldi per integrarle nell’organico. Saranno sostituite da una sola dottoressa che lavorerà part time. Una situazione paradossale per un centro d’eccellenza che ha permesso a diversi bambini di avere una vita più autonoma riducendo i propri handicap. Grottesca se si pensa che dal 2014 sono in lista d’attesa ben duecento bambini, che crescendoSchermata 2017-02-03 alle 14.29.08 rischiano di non poter più recuperare il tempo perso per non aver avuto la possibilità di accedere alle terapie riabilitative. In più si dovrà scegliere quali dei bambini oggi un cura, circa quarantatré, dovranno essere allontanati dal centro che potrà dalla prossima settimana seguirne non più di venti. Il criterio che sarà adottato per la loro ‘eliminazione’ dai programmi riabilitativi è oscuro. Chiara invece la posizione delle mamme dei pazienti che riunitesi nel comitato spontaneo ‘Le Mamme di Gaia non intendono abbandonare i propri figli al loro destino rinunciando a un servizio che anche dai professionisti Gaslini di Genova viene definito eccelso.

 

Questa mattina infatti un gruppo di oltre cinquanta persone ha protestato davanti la sede dell’Asp di Cosenza in via Alimena chiedendo chiarimenti. Come risposta hanno ricevuto un semplice rimbalzo di responsabilitàSchermata 2017-02-03 alle 14.29.21 dall’Asp alla Regione Calabria. E si recheranno nei prossimi giorni in Regione per essere ricevute dal commissario Scura. La scelta di effettuare tagli sulla Neuropsichiatria Infantile e Riabilitazione, invece di potenziare il servizio già insufficiente a causa della carenza d’organico, implica che i piccoli, già provati da differenti tipi di patologie e spesso difficilmente adattabili (come ad esempio gli autistici), saranno nel migliore dei casi costretti a ricostruire un rapporto già consolidato con le terapiste oppure a rinunciare totalmente alle cure qualora dovessero rientrare tra i 23 ‘eliminati’. “Questo significa – ha dichiarato Debora una delle mamme che stamattina hanno protestato – che tutti i risultati finora raggiunti, verranno messi in discussione. Il diritto alla salute nella nostra Regione, appare condizionato alle risorse economiche. Non tutte le famiglie possono permettersi di partire (a volte è anche inutile perché in Toscana i primi posti disponibili sono al 2018) o rivolgersi ai privati.

 

Il tutto a fronte di una lista d’attesa che ha una durata media di due anni. Inaccettabile se si pensa che si tratta di terapie urgenti che se effettuate in ritardo, dopo che il bimbo cresce, non permettono la riabilitazione dato che alcune patologie necessitano di un intervento tempestivo. Il direttore amministrativo dell’Asp di Cosenza  Pietro Filippo ci ha spiegato che alla Regione preferiscono utilizzare i fondi per l’ospedale. Tentano di lanciarci in una guerra tra poveri che non ha senso d’esistere. I nostri bambini oggi, se non saranno aiutati, saranno gli invalidi al 100% di domani. Questo non significa risparmiare, ma ignorare le esigenze di un’intera comunità”. Le famiglie dopo aver discusso con il dirigente dell’Asp di Cosenza hanno dichiarato di non essere disposte ad accettare che i bimbi restino senza cura annunciando una vera e propria battaglia contro i burocrati. “Siamo stanche di lottare per far valere i nostri diritti, – affermano – per avere un aerosol si impiega un anno e mezzo. Abbiamo il dovere di fare tutto il possibile per ridurre l’handicap dei nostri bimbi, affetti da patologie che vanno dall’autismo alla sindrome di down. Dobbiamo farlo per la loro autonomia e autostima. I risultati – continua a ribadire una delle mamme che ha partecipato alla protesta – con le terapie ci sono. Abbiamo casi in cui chi non riusciva neanche a tenere un cucchiaio in mano dopo alcuni mesi di terapie al centro di Rende ha iniziato a mangiare da solo. Non possiamo accettare di essere ignorate”.

   Schermata 2017-02-03 alle 14.29.35

L'articolo A Rende bimbi disabili senza terapia, 200 in lista d’attesa dal 2014. Mamme fuoriose sembra essere il primo su QuiCosenza.it.

Per il Carnevale di Castrovillari si spende in totale il quarto del costo di un carro a Viareggio

$
0
0
carnevale castrovillari 2017

Nonostante i finanziamenti risicati Castrovillari è pronta ad aprire l’edizione 2017 del Carnevale più famoso della Calabria.

 

CASTROVILLARI (CS) – Pochi soldi, ma tanta passione. E’ stata presentata stamattina nella sala De Cardona del Centro Direzionale della BCC Mediocrati di Rende la 59° edizione del Carnevale di Castrovillari e Festival Internazionale del Folklore. Si tratta dell’evento più divertente e partecipato dell’intera Calabria, che riesce ogni anno a portare nella città del Pollino oltre 100mila visitatori. La IMG_20170204_112903tradizionale manifestazione carnascialesca si aprirà il 18 Febbraio a Castrovillari con uno spettacolo di burlesque. Il programma completo dei cento eventi, spalmati su dieci giorni, che coloreranno il Pollino sino al 28 Febbraio sarà presentato al termine della prossima settimana. Gli organizzatori hanno comunque anticipato alcune delle novità principali dell’edizione 2017 del Carnevale di Castrovillari.

 

Grazie alla dedizione di alcuni artigiani le sfilate del 26 e del 28 Febbraio (giorno in cui sarà incoronato Re Carnevale) saranno animate non solo da gruppi mascherati, ma anche da pomposi carri allegorici che attraverseranno le strade della città del Pollino. Numerose scuole di ballo si esibiranno con le proprie carnevale castrovillari 2017performance regalando agli spettatori emozionanti coreografie. Ad animare il più famoso carnevale calabrese vi saranno anche gruppi folkloristici che sfileranno insieme alle maschere e ai cittadini castrovillaresi durante il Gran Galà del Folklore. In totale saranno circa 1.500 i figuranti che parteciperanno a quella che rappresenta la più longeva manifestazione tradizionale calabrese che viene fatta risalire al 1635.

 

L’iniziativa però da oltre dieci anni non viene finanziata dalla Provincia di Cosenza e da quattro non viene più sostenuta dalla Regione Calabria. Nel corso della conferenza stampa di stamattina il direttore artistico della Pro Loco di Castrovillari Gerardo Bonifati ha ricordato che l’intera kermesse, inserita dal Touring Clubarte tra i “Carnevali più belli d’Italia” è stata organizzata spendendo non più di 60mila euro. Una spesa irrisoria se si pensa che il Carnevale di Viareggio è finanziato con ben 4 milioni di euro. La cifra investita per l’intero Carnevale castovillarese infatti IMG_20170204_114638rappresenta un quarto del costo di un unico carro allegorico a Viareggio o Putignano. “A noi basterebbero anche solo 200mila euro – ha affermato Bonifati – per incrementare le visite ed avere un ritorno d’immagine positivo come quello che rende alla propria comunità il Carnevale di Putignano, finanziato con 500mila euro dalla Regione Puglia. Nonostante ciò ciò, riusciamo ad offrire per dieci giorni,  intrattenimento a costo zero per gli spettatori al contrario di Viareggio in cui per acquistare un biglietto per la sfilata si spendono 26 euro”.

 

L’immagine del Carnevale 2017, un ragazzo truccato con una maschera, come precisa l’organizzazione “vuole riflettere in chiave ironica e dissacratoria, la nostra società in bilico tra tradizione e contemporaneità. Che rappresenti un uomo o una donna poco importa, il Carnevale è, per eccellenza, la festa del ribaltamento dei ruoli e delle identità, è un inno alla trasgressione, è farsa e travestimento. Mascherarsi è un atto rituale, individuale e collettivo che permette di abbattere le barriere sociali e ci permette comportamenti non concessi nella vita quotidiana, almeno una volta l’anno, in occasione del Carnevale,  ribaltando così  i modelli consolidati dell’ iconografia popolare, ormai anch’essa contaminata”. Al tavolo dei relatori stamattina oltre a Gerardo Bonifati erano presenti: il presidente della BCC Medio Crati Nicola Paldino, il vicesindaco di Castrovillari Francesca Dorato e il presidente della Pro Loco Eugenio Iannelli.

 

locandina_carnevale_

L'articolo Per il Carnevale di Castrovillari si spende in totale il quarto del costo di un carro a Viareggio sembra essere il primo su QuiCosenza.it.

Omicidio Giordanelli, il presunto assassino pare fosse ubriaco quando uccise la dottoressa

$
0
0
omicidio-giordanelli

Stamattina a Cosenza è stato chiesto che agli atti venga allegata una perizia psichiatrica e che l’imputato sia giudicato con rito abbreviato.

 

COSENZA – Paolo Di Profio è nervoso. Ha il volto contratto mentre segue dalla cella della Corte d’Assise di Cosenza il processo che lo vede imputato per l’omicidio di Annalisa Giordanelli. La donna, era ritenuta dal quarantasettenne di Cetraro la causa della propria separazione dalla moglie, Serena Giordanelli. Per questo motivo avrebbe agito uccidendo la dottoressa cinquantatreenne a sprangate, il 27 gennaio 2016, in una stradina di Cetraro lontana da occhi indiscreti mentre stava facendo jogging. Oggi in aula i legali difensori dell’imputato hanno nuovamente chiesto che Di Profio venga giudicato con rito abbreviato e che venga contemplata nel procedimento penale una perizia psichiatrica per verificare la capacità di intendere e di volere al momento dei fatti. Lo stato di salute di Di Profio però pare non sia mai stato messo in discussione, nonostante anche la madre di Annalisa e Serena Giordanelli nella propria testimonianza abbia più volte ribadito di essere a conoscenza del fatto che il genero soffre di bipolarismo.

 

In più le certificazioni rilasciate dai carceri di San Vittore, Taranto e Matera conterrebbero, a detta della difesa, elementi tali da poter dimostrare il disagio psichico di Di Profio e le sue dipendenze da alcool e droga. Problemi mai emersi nel corso della sua carriera che lo vedeva inserito come infermiere professionista del reparto di Rianimazione dell’Ospedale di Cetraro. In più sembrerebbe che nella lettera di dimissioni stilata al termine della visita effettuata sull’uomo a poche ore dal delitto, i sanitari lo avrebbero ritenuto vigile, cosciente e normorientato. L’evidenza che prima del delitto il quarantasettenne avesse consumato cocaina e alcool sembrerebbe inoltre funzionale per l’accusa a testimoniare la lucidità con la quale l’omicidio sarebbe stato pianificato e portato a termine. La moglie di Di Profio si ricorda, all’epoca dei fatti viveva da ospite in casa di Annalisa Giordanelli dopo aver deciso di interrompere la relazione con il marito. Il processo è stato aggiornato al prossimo 16 febbraio.

 

L'articolo Omicidio Giordanelli, il presunto assassino pare fosse ubriaco quando uccise la dottoressa sembra essere il primo su QuiCosenza.it.

Abbattuti 843 alberi dopo l’autorizzazione rilasciata alla ditta ‘amica’

$
0
0
Schweiz, Kanton GR, Bergell
Luigi Frigerio ist mit seinen Lehrlingen am Baumfaellen

Il consigliere comunale Angelo Gencarelli avrebbe sollecitato la firma dell’atto che consentiva il taglio e la raccolta di piante danneggiate da calamità naturali.

 

COSENZA – Processo Acheruntia, nuova udienza oggi presso il Tribunale di Cosenza. Alla sbarra Gianpaolo Ferraro, Angelo Gencarelli e Giuseppe Perri. Questa mattina dinanzi al presidente del collegio giudicante Enrico Di Dedda con a latere i giudici Claudia Pingitore e Manuela Gallo è stata ascoltata una funzionaria del Comune di Acri responsabile del settore patrimono. La donna nel corso della deposizione, ha tentato di chiarire l’iter autorizzativo che ha portato al rilascio e alla successiva revoca dell’autorizzazione di ditte riconducibili, per gli inquirenti, alla famiglia di Angelo Gencarelli al taglio e alla raccolta di piante danneggiate dal bosco di Galluzzo. Pur affermando di non aver mai subito minacce da parte del consigliere comunale, la funzionaria ha ricordato l’assidua presenza di Gencarelli nei suoi uffici per sollecitare la stipula dell’atto. Il tutto in un clima di forte tensione, in quanto in quel periodo la testimone aveva denunciato per mobbing il sindaco di cui Gencarelli era sostenitore in quanto consigliere di maggioranza.

 

La funzionaria ha spiegato che dopo aver autorizzato anche al taglio degli arbusti danneggiati da calamità naturali la ditta La Fungaia di Gabriella Molinaro, in quell’area erano state abbattute 843 piante. Un vero e proprio scempio, così lo definì l’architetto durante le indagini. Il disboscamento dell’area, avvenuto a cavallo tra il 2011 e il 2012, cui responsabilità non sono state ancora accertate ha quindi portato alla revoca dell’autorizzazione alla ditta La Fungaia. Si tratta dell’azienda inizialmente intestata alla moglie di Salvatore Gencarelli che, per l’accusa, per anni è riuscita ad accaparrarsi tutti i lavori pubblici del settore boschivo e della manutenzione dei fiumi nell’area di Tarsia – Acri. Quella di Gencarelli diventa poi a distanza di tempo una presenza costante negli uffici della funzionaria che si rifiuta di assecondare tale meccanismo.

 

A chiedere di poter prelevare il legname dai boschi di Acri è un’altra impresa. Si tratta dell’azienda intestata al figlio di Salvatore Gencarelli, Antonio. Il sindaco pro tempore Maiorano, indagato per concussione insieme a Gencarelli, impone di firmarla. Lei si rifiuta, non firma e la Regione boccia l’intera pratica. Il processo è stato aggiornato al prossimo 9 marzo, mentre il 13 Febbraio il gup di Catanzaro dovrebbe esprimersi sulla posizione di altri indagati (Abbruzzese Elio, Abbruzzese Francesco, Belsito Luigi, Bevilacqua Giuliano, Bruno Alfredo, Burlato Giuseppe, Cappello Domenico, Caruso Franco (nato a Lattarico il 02.02.59), Cello Andrea, Cofone Angelo, D’Ambrosio Adolfo, Dolce Claudio, Gencarelli Salvatore, Luigi Maiorano, Greco Massimo, La Greca Enzo, Maiorano Luigi, Martorino Gemma, Rosa Antonio, Tarsitano Giuseppe, Trematerra Michele) e di Rinaldo Gentile condannato in abbreviato.

L'articolo Abbattuti 843 alberi dopo l’autorizzazione rilasciata alla ditta ‘amica’ sembra essere il primo su QuiCosenza.it.


Cosenza Vecchia: case pericolanti e prostituzione minorile, mentre la funzionaria della Regione ‘sorride’

$
0
0
crollo-cosenza-vecchia (13)

Finanziamenti persi e degrado nel centro storico. E il Comune ‘sbandiera’ i 12 milioni di euro spesi per Cosenza Vecchia tra illuminazione delle strade e migliorie che i residenti ‘ignorano’.

 

COSENZA – Residenti, Provincia di Cosenza, Regione Calabria, Aterp e Comune di Cosenza si sono riuniti stamattina per discutere dell’emergenza centro storico. Prostituzione minorile e rischio crolli sono ‘solo’ le problematiche più evidenti. Sintomo del degrado non solo infrastrutturale, ma anche sociale in cui versa Cosenza Vecchia. Un quartiere in cui, a dire dell’amministrazione comunale, si spende dieci volte di più rispetto alle altre zone della città. Nevicolo centro storicogli ultimi cinque anni sono stati dodici i milioni di euro spesi per migliorare il centro storico. Fondi, forse, spesi male visto che i residenti a parte la ristrutturazione e ‘privatizzazione’ del Castello Svevo (di cui è ancora visibile lo scempio del ‘totem ascensore’ ) e l’illuminazione
in buona parte migliorata, anche se con scelte cromatiche discutibili (come gli antichi vicoli in verde fluo), non ne percepiscono i benefici.

 

Dalla voce dei residenti si alza un coro unanime: urge intervenire non solo sugli edifici, ma anche sul tessuto sociale. Al più presto. La dispersione scolastica, l’accattonaggio, l’incremento esponenziale della presenza di rom e migranti, impongono la presenza di una task force di mediatori culturali ed assistenti sociali. Invece ad oggi l’unico presidio istituzionale è quello del decoro urbano con barricato al suo interno un agente di polizia municipale che può intervenire, e solo parzialmente, sul randagismo e sull’abbandono di rifiuti. A ciò si aggiungono altre ‘vergogne’ denunciate dai comitati presenti (Comitato Piazza Piccola, Casco, Comitato Arco di Ciaccio) a partire dalla presunta incompetenza nel redigere i bandi che ha portato al mancato finanziamento del centro storico per milioni di euro. crollo cosenza vecchiaCosenza Vecchia infatti non è stata inserita tra i beneficiari di diversi fondi, soprattutto per l’inclusione sociale e l’integrazione. Eppure i comitati avevano fatto notare in tempi non sospetti che i progetti presentati dal Comune di Cosenza erano carenti e sarebbero stati bocciati. In più come emerso nel corso della riunione, nei finanziamenti per il Centro Storico è stata data la priorità alla riqualificazione di Caricchio, zona poco popolata e distante dalle aree maggiormente critiche.

 

LO SPORTELLO URP NEGA I FONDI, L’ASSESSORE RISOLVE CON UNA ‘TELEFONATA’

Dal suo canto il capogabinetto Molinari ha ricordato che il centro storico è più pulito e illuminato rispetto al passato. Due elementi importanti che però non rassicurano chi è costretto a vivere dentro o al fianco di case pericolanti a rischio crollo. “Vi sono palazzi implosi su se stessi, – ha spiegato una delle residenti del centro storico – vanno abbattuti, sono pericolosi. Tutti i tetti sono in amianto e bisogna bonificarli”. L’assessore Caruso dice che ci sono delle agevolazioni per i privati che vogliono ristrutturare, ma un utente seduto al tavolo infuriato ha raccontato di essersi più volte rivolto all’ufficio dedicato dell’URP ricevendo sempre come risposta: ‘per Cosenza Vecchia non c’è niente’. Un gap informativo che l’assessore Caruso ha inteso risolvere con un ‘mi dia il suo numero che la faccio contattare’. Poi rivolgendosi alla funzionaria che rappresentava al Tavolo la Regione Calabria l’assessore alla Riqualificazione Urbana ed Emergenza Casa ha chiesto quali fondi vi fossero per Cosenza Vecchia.

 

LA FUNZIONARIA DELLA REGIONE CHE ‘SORRIDE’ SULLE DISGRAZIE DEL CENTRO STORICO

Lei sorride. Durante l’intera riunione non ha detto nulla, neanche quando interpellata. Alla critica che i bandi per i residenti del centro storico erano stati redatti con parametri che, di fatto, non consentono la partecipazione delle fasce più deboli aveva già risposto con un’alzata di spalle, senza vocalizzare alcun suono. Alla domanda dell’assessore, ripetuta più volte, non riesce a sottrarsi. Continua a ridere Emanuela Bonacci, anche perché non rischia ogni notte di restare sepolta sotto le macerie. Poi, dimenticando di essere la referente del dipartimento Programmazione Nazionale e Comunitaria, afferma che “le amministrazioni possono beneficiare consiglio-comunale-cosenza-vecchia-piazza-piccoladi interventi nelle scuole e la costruzione dei bandi è un momento concertativo”. Probabilmente non ha ascoltato con attenzione quanto era stato detto durante la riunione, ovvero che gli edifici pubblici sono stati interamente messi in sicurezza. Poi ricomincia la sua fase di mutismo, con il sorriso stampato in viso.

 

PROPOSTE OPERATIVE E FONDI DISPONIBILI

Completa disponibilità all’utilizzo di uomini e mezzi è stata data da parte della Provincia di Cosenza. Il neopresidente Franco Iacucci ha infatti affermato di non aver “la ricetta per risolvere tutto, però l’ente che dirigo ha diverse competenze e la possibilità di offrire numerosi servizi. Collaboriamo, sono aperto a qualsiasi proposta. Per iniziare potremmo pensare all’impiego degli agenti di polizia provinciale”. Altra manodopera arriverà da un pool di giovani professionisti (ingegneri, architetti, geologi) che supportati dall’assessore Caruso il quale fornirà loro le linee guida da seguire al livello normativo gratuitamente redigeranno progetti da implementare nei quartieri per riqualificare il centro storico. Intanto nessuna risposta è stata fornita sull’accesso e la disponibilità di fondi che l’opposizione ha affermato è possibile ad oggi investire su Cosenza Vecchia. Si tratta di 10 milioni di fondi CIPE APQ Emergenza urbana, 120 milioni di euro per il rischi sismico, POR asse Cosenza – Rende 35 milioni di euro,  315 miliardi di euro complessivi del Piano Junker, legge Abbruzzo per l’adeguamento antisismico 30 milioni di euro.

L'articolo Cosenza Vecchia: case pericolanti e prostituzione minorile, mentre la funzionaria della Regione ‘sorride’ sembra essere il primo su QuiCosenza.it.

‘Finto’ pestaggio in caserma nel Cosentino, l’inattendibile racconto del condannato

$
0
0
aula-tribunale

Il ragazzo avrebbe ferito, da ammanettato, tre carabinieri. Dopo la condanna in primo grado, la sua famiglia, ha deciso di ricorrere in Appello.

 

COSENZA – Non si è definitivamente ancora conclusa la vicenda del presunto pestaggio avvenuto nell’agosto 2013 nella caserma di Rogliano. La famiglia del ragazzo condannato a cinque mesi di reclusione per aver ferito, da ammanettato, tre militari ha deciso di ricorrere in Appello. Non ha infatti soddisfatto i legali della difesa dell’imputato la decisione del giudice Lucia Marletta, che nonostante la richiesta di assoluzione invocata dal pm, ha inteso ritenere il giovane non vittima, ma bensì autore di lesioni personali, minacce e violenza ai danni di tre pubblici ufficiali: Antonino Barbieri, Giovanni Raimondo e Massimiliano De Seta. La testimonianza del ragazzo, all’epoca dei fatti ventitreenne è stata ritenuta inattendibile. Di seguito ne proponiamo alcuni stralci, ricordando che Marco Arcamone è stato giudicato dal Tribunale di Cosenza responsabile di aver aggredito fisicamente e verbalmente i militari e che le dichiarazioni restano, come recita la sentenza: “mere affermazioni dell’imputato quelle di essere stato picchiato anche all’interno della caserma”.arcamone

 

L’imputato già in sede di interrogatorio riferiva i fatti diversamente da quanto reso dai carabinieri della caserma di Rogliano. “Mentre giungeva dinanzi al bar  – si legge nella sentenza – aveva notato un gruppetto di ragazzi che discutevano, ma che non si era verificata alcuna lite. Riferiva poi che quando i carabinieri erano giunti al bar in piazza a Rogliano uno dei carabinieri, Barberi, gli si era avvicinato ed egli aveva salutato ed aveva chiesto se fosse successo qualcosa. Alchè il Barberi gli aveva chiesto chi fosse ed esibirgli i documenti. Egli aveva spiegato di non avere con sè i documenti in quanto la patente gli era stata ritirata e l’avevano loro in caserma (e spiegava altresì l’imputato in udienza di avere perso la carta d’identità). Forse tale risposta li aveva urtati e così un altro carabiniere l’aveva aggredito da dietro girandogli il braccio e lo aveva sbattuto in macchina per portarlo in caserma. Durante il tragitto il De Seta, che si trovava seduto insieme a lui sul sedile posteriore, aveva iniziato a colpirlo allo stomaco e con pugni alla testa. Egli aveva cercato di bloccarlo per non farsi male e negava di avere a sua volta colpito il De Seta. All’arrivo in caserma egli avrebbe voluto scendere da solo dall’auto, ma nonostante avesse detto che sarebbe sceso da solo, i carabinieri non gliene avevano dato il tempo e lo avevano tirato con forza fuori dall’abitacolo.

 

Era caduto a terra ed i quattro militari, escluso il carabiniere donna, la quale era già entrata avevano preso a colpirlo con calci e pugni. Lo avevano poi portato all’interno della caserma dove avevano proseguito a colpirlo. Cercando di proteggersi, era caduto nuovamente a terra. Era poi giunto il carabinere donna che aveva redarguito i colleghi chiedendo loro cosa stessero facendo e se fossero pazzi. Quindi i carabinieri si erano fermati e gli avevano messo le manette, legandogli le mani da dietro. Una volta seduto il ragazzo era riuscito a sfilare il telefono dalla tasca posteriore dei pantaloni ed aveva chiamato la madre e, quando aveva compreso che era giunta la mamma in caserma era uscito per raggiungerla seguito da uno dai carabinieri che lo avevano picchiato. Aveva visto che all’esterno vi erano la madre, lo zio e tutti i suoi amici. Aveva detto alla aemadre che il carabiniere che lo seguiva era uno di quelli che lo stava massacrando di botte. Il carabiniere quindi lo aveva riportato all’interno e gli aveva dato un’altra ‘scarica’ e lo aveva messo in cella di sicurezza tenendolo sempre ammanettato. Era stata quindi chiamata l’ambulanza ed al medico che lo stava visitando aveva detto che gli faceva male la pancia e che non stava bene. Il medico si era limitato a guardarlo e a dire che andava tutto bene, nonostante fossero visibili le escoriazioni alle ginocchia, dato che indossava i bermuda.

 

L’imputato precisava inoltre che in quel momento non poteva alzare la maglia per fargli vedere i graffi ai fianchi poiché era ammanettato. Poiché continuava a stare male la madre aveva chiamato il 118 e la dottoressa lo aveva indirizzato all’ospedale. Recatosi al Pronto Soccorso di Cosenza gli avevano fatto una radiografia al posto e gli avevano refertato una distorsione oltre a trauma cranico minore con distorsione del rachide cervicale per la quale si consigliava il collare ortopedico per dieci giorni, contusioni ed escoriazioni multiple con prognosi di dieci giorni. Marco Arcamone negava di aver appellato i carabinieri al loro arrivo chiamandoli ‘sbirri di merda’. Spiegava infatti di avere uno zio carabiniere e che anche il nonno era carabiniere. Negava inoltre di avere intavolato una discussione con i carabinieri che gli chiedevano i documenti e dichiarava di aver risposto loro solamente che i documenti li avevano in caserma. Negava inoltre di aver colpito il Raimondo, e per spiegare le lesioni refertate ai militari, affermava che forse a causa dei tanti pugni che i carabinieri gli avevano sferrato per sbaglio si erano colpiti anche tra loro. Negava inoltre di aver colpito con un calcio il De Seta”.

 

LEGGI ANCHE

 

Prelevato dal bar e trasportato in caserma:

“Non capivo perché mi picchiassero”

 

Sentenza choc per il presunto pestaggio dei carabinieri a Rogliano

L'articolo ‘Finto’ pestaggio in caserma nel Cosentino, l’inattendibile racconto del condannato sembra essere il primo su QuiCosenza.it.

Cosenza Vecchia, vivere in una casa mai pavimentata: “Sembra di stare in un congelatore, siamo tutti malati” (FOTO)

$
0
0
abitazione-cosenza-vecchia (7)

Vedova, madre di quattro figli, abita dal 1994 in un appartamento del centro storico di Cosenza in condizioni di estremo disagio.

 

COSENZA – I pavimenti non ci sono. A terra vi è solo una colata di cemento difficile da pulire. Le finestre non si chiudono, l’acqua piovana entra in casa e parte del solaio della cucina è già crollato. L’umidità in più ha trasformato i muri in una poltiglia, cui intonaco si sbriciola appena li si sfiora. All’interno dell’appartamento di uno stupendo palazzo che affaccia sulla Piazza Piccola di Cosenza Vecchia, in via San Tommaso, vive una vedova con quattro figli a carico e abitazione-cosenza-vecchia (5)un lavoro precario che non le consente di ristrutturare casa. Dal 2010 ha chiesto di essere trasferita in un altro alloggio, ma le sue istanze sono state sempre ignorate. La donna abita nel centro storico dal 1994 quando il Comune di Cosenza, per evitare che la sua famiglia continuasse a dormire in auto, fittò questo appartamento di proprietà di un privato.

 

Ora fanno sapere da Palazzo dei Bruzi, l’amministrazione ha avviato una procedura di esproprio dell’immobile, senza però avere nessuna soluzione alternativa per vi abita all’interno. “A noi non hanno comunicato nulla. Io lavoro in nero, faccio pulizie ed assistenza abitazione-cosenza-vecchia (6)agli anziani, non ho una busta paga per accedere ad un finanziamento e fare i lavori. Negli anni ci siamo ammalati tutti, qui sembra di stare in un congelatore – spiega la signora mostrando i geloni sulle sue mani e su quelle del figlio – e la polvere ti uccide. Per quanto tu possa pulire, non essendoci il pavimento, resta sempre sporco ed i miei ragazzi cresciuti qui sono tutti allergici. Io ho perso l’udito per colpa dell’umidità, mentre il figlio più piccolo ha un problema di coagulazione del sangue e quando resta in casa per troppo tempo comincia a diventare nero dalle mani al volto. Qui fa più freddo dentro che fuori. Sempre. E’ invivibile.

 

In più è troppo grande per noi, a cosa ci serve tutto questo spazio (180 metri quadri) se non riusciamo neanche a riscaldarci e abbiamo paura che ci crolli tutto addosso? La soluzione che aveva trovato per noi l’ex sindaco abitazione-cosenza-vecchia (1)Mancini, mettendoci in questa casa, doveva essere temporanea, si chiamava infatti ‘Parcheggio Casa’. Sono ormai passati ventidue anni. Credo si siano dimenticati di noi. Eppure abbiamo presentato tutte le richieste per accedere agli alloggi popolari. Sono stata in vari uffici del Comune e nessuno mi sa dire dov’è finita la domanda che ho depositato. Intanto il muro del bagno pian piano continua a crolla e a breve cadrà. Un’altra parete l’ho fatta riparare perché si era formata una crepa così grande che ci entrava una mano, ma non ho soldi per sistemare tutto”.

 

abitazione-cosenza-vecchia (2)

 abitazione-cosenza-vecchia (4)
abitazione-cosenza-vecchia (8)

L'articolo Cosenza Vecchia, vivere in una casa mai pavimentata: “Sembra di stare in un congelatore, siamo tutti malati” (FOTO) sembra essere il primo su QuiCosenza.it.

Pidocchi in una scuola del centro storico, si attende l’arrivo del medico

$
0
0
Dollarphotoclub_29176664 (1)

Genitore disperato: “Per l’ennesima volta ho eseguito la terapia per mia figlia. Dopo quarantotto ore aveva di nuovo la pediculosi”.

 

COSENZA – Emergenza pediculosi nelle scuole dello Spirito Santo. L’istituto comprensivo ubicato nel centro storico di Cosenza, ospita al suo interno la Scuola dell’Infanzia con 60 alunni, la Scuola Primaria con 170 scolari e la Scuola Secondaria di Primo Grado con 85 studenti. Oltre trecento bambini che ogni giorno popolano i vari plessi in cui, dall’inizio dell’anno scolastico, i genitori lamentano una vera e propria epidemia di pediculosi. L’annoso problema dei pidocchi tra i piccoli scolari non ha risparmiato nessuna generazione, ma da quanto raccontano gli utenti dell’istituto dello Spirito Santo il fenomeno sarebbe più diffuso rispetto a quello che da sempre si registra nelle scuole. Un padre di due bambine che frequentano l’istituto lamenta che nonostante le ripetute cure, pur avendo seguito nel dettaglio le istruzioni dei medici, le figlie continuano a tornare a casa con i pidocchi. “L’ultima volta – spiega il genitore – le ho tenute a casa una settimana. Quando sono sparite le lendini le ho rimandate a scuola. Dopo due giorni avevano di nuovo i pidocchi. Da settembre ad oggi abbiamo fatto più volte il trattamento, ma il risultato è sempre uguale: a distanza di poche ore si ripresenta la pediculosi”.

 

Il dirigente scolastico Massimo Ciglio che presiede l’istituto comprensivo dello Spirito Santo spiega che “in questi casi non è prevista né la bonifica né disinfestazione della scuola che avviene in casi diversi. Un esempio: quando è stata riscontrata la presenza di topi”. “Purtroppo – chiarisce Massimo Ciglio – possiamo fare poco, perché i pidocchi vengono da fuori e poi i bimbi vengono contagiati. E’ impossibile identificare il ‘paziente zero’ se così si può definire. Abbiamo redatto delle linee guida a cui tutte le famiglie dovrebbero attenersi, con le indicazioni di come usare lo shampoo per la pediculosi, come pettinare i capelli, però forse non tutti i genitori seguono il protocollo e la pediculosi continua a proliferare. Dipende dalla sensibilità e cura di ciascuna famiglia. Personalmente mi sono adoperato affinché l’Asp intervenga. Nei prossimi giorni un medico, il dottor Caruso, verrà a scuola a visitare i bambini e terrà un incontro con i genitori per illustrare loro quali accortezze dovranno usare per debellare i pidocchi“. Di seguito riportiamo alcune utili istruzioni contenute in un vademecum redatto dal dermatologo milanese Marcello Monti.

 

COME RICONOSCERE ED EVITARE LA DIFFUSIONE DEI PIDOCCHI

 
 

1. Il pidocchio è un parassita obbligato: non sopravvive a lungo se non su un essere umano.

La specie che infesta i capelli dei bambini (e degli adulti) non è nemmeno in grado di sopravvivere su animali: ha bisogno dell’uomo, del cui sangue si nutre pungendo il cuoio capelluto.

 
 

2. Il prurito provocato dai pidocchi non è dovuto, come veicola la credenza popolare, alla sporcizia, bensì proprio alle punture dell’insetto.

Bisogna sfatare il mito che i pidocchi infestino le persone con scarsa igiene personale. Anzi, più i capelli sono puliti più è facile che i pidocchi riescano ad ‘attecchire’ e a depositare le proprie uova alla radice degli stessi.

 
 

3. Il ciclo vitale del pidocchio avviene attraverso tre stadi e dura circa un mese.

Si parte dall’uovo (detto anche lendine) che schiudendosi dà origine alle ninfe, forme immature del parassita adulto. La ninfa è molto piccola e rossastra, mentre il pidocchio adulto è scuro e lungo 2-4 mm. Il pidocchio adulto depone le uova che a loro svolta si schiudono dopo 8-10 giorni riproducendo il ciclo.

 
 

4. I pidocchi del capo non trasmettono malattie infettive.

Certamente, se sono numerosi, possono indurre lesioni da grattamento che a loro volta possono infettarsi. In alcuni casi possono comparire anche reazioni allergiche.

 
 

5. Il parassita sopravvive circa un mese sul capo di una persona ma non più di 48 ore sugli oggetti e nell’ambiente.

Le uova possono sopravvivere più a lungo lontano dallo scalpo ma non sono in grado di maturare e schiudersi se non sono mantenute a temperatura simile a quella della cute umana. Ciò significa che molto difficilmente il parassita arriverà sulla testa di un bambino passando attraverso l’ambiente. 

 
 

6. I pidocchi depongono le uova alla radice dei capelli e in particolare sulla nuca, dietro le orecchie e talvolta alla radice della frangia.

È spesso difficile vedere l’insetto adulto, a meno che l’infestazione non sia già avanzata: sono invece molto numerose le uova, che hanno un aspetto bianco traslucido o, a volte, marrone scuro e sono strettamente adese alla base del capello.

 
 

7. Le uova del pidocchio possono essere confuse con forfora.

Per comprendere la differenza basta cercare di eliminarle dal capello con una piccola scossa. La forfora cadrà mentre l’uovo di pidocchio resterà saldamente incollato al fusto.

 
 

8. Un segnale di allarme per i genitori è certamente il prurito.

Ogni volta che il bambino si gratta la testa bisogna controllare se non ci sono pidocchi.

 
 

9. Un altro sintomo che richiede un controllo accurato è la presenza di arrossamenti e graffi da grattamento nei punti più infestati.

I punti più infestati, come abbiamo visto, sono la nuca e l’attaccatura dietro le orecchie.

 
 

10. Per esaminare i capelli e scoprire l’intruso è necessaria una buona luce naturale.

E’ meglio effettuare il controllo di giorno, davanti a una finestra. A volte la luce elettrica rende le uova trasparenti, specie se ci si trova davanti a una chioma bionda (la più difficile da esaminare).

 
 

11. È bene munirsi di una lente d’ingrandimento, di un pettine a denti finissimi (acquistabile in farmacia) e di un foglio di carta bianca.

Basterà passare il pettine fra i capelli per vedere cadere sul foglio il pidocchio adulto. Non sempre però gli insetti adulti sono presenti in numero sufficiente: è quindi necessario cercare le uova con la lente d’ingrandimento e separare i capelli in quattro aree, trattenute con mollette o forcine, procedendo poi a un esame sistematico ciocca per ciocca.

 
 

12. L’unica forma efficace di prevenzione è il controllo bisettimanale dei capelli dei bambini.

In caso di infestazione bisogna procedere subito con un trattamento eradicante e avvertire la classe del bambino e la direzione scolastica. In tal modo si riesce a limitare nel tempo e nello spazio la diffusione dei parassiti.

 
 

13. È bene ribadire che non c’è nessuna relazione tra pulizia personale e parassitosi da pidocchio del capo.

Esistono invece alcune caratteristiche individuali (tipo di capelli, odore della pelle) che fanno sì che alcuni bambini prendano i pidocchi più frequentemente di altri.

 
 

14. Un problema che rende difficile anche la prevenzione è quello delle resistenze ai più comuni prodotti antiparassitari.

In molti casi i bambini trattati sono in realtà ancora infestati e continuano a diffondere la parassitosi all’insaputa di genitori e insegnanti. La mancata efficacia del trattamento può anche dipendere anche da un uso scorretto dello stesso o da un tempo di posa inadeguato. È importante seguire alla lettera le indicazioni d’uso del prodotto prescelto non solo per rendere l’intervento efficace ma anche per conservarne l’efficacia in caso di ulteriori infestazioni.

 
 

15. Tutti i bambini con pidocchi del capo devono essere trattati, così come tutte le persone conviventi e i compagni con cui hanno avuto contatti stretti.

Secondo le linee guida del National Health Service britannico, è utile anche fare un trattamento profilattico a chiunque condivida il letto con una persona infestata da pidocchi, anche se non si vedono parassiti o lendini.

 
 

16. Il trattamento deve essere effettuato in contemporanea: se il bambino viene trattato subito e il resto della famiglia 24 ore dopo, tutto il processo può risultare inefficace.

In generale si consiglia sempre un secondo trattamento a distanza di una settimana perché nessun prodotto è certificato ovocida al 100 per cento, cioè è possibile che qualche uovo sopravviva e generi pidocchi vitali.

 
 

17. Se le uova presenti sul capo sono poche e la pazienza tanta, è possibile evitare il trattamento insetticida tagliando alla base con una forbicina i singoli capelli sui quali si riscontra la presenza di un uovo.

I capelli tagliati vanno accuratamente raccolti in un sacchetto che va poi chiuso ed eliminato. Per facilitare l’eliminazione delle uova dopo il trattamento con insetticida è utile fare un risciacquo con acqua e aceto: quest’ultimo scioglie le sostanze collose che il pidocchio produce per ancorare la lendine al capello.

 
 

18. Non basta trattare la persona: bisogna eliminare eventuali uova da indumenti e arredi venuti a contatto con la testa nelle 48 ore precedenti la scoperta dei pidocchi.

È bene raccogliere cappelli, sciarpe, golf, federe, lenzuola, coperte, copridivani e asciugamani e lavarli in lavatrice a 60 °C. Le uova di pidocchio vengono infatti uccise da un’esposizione al temperature superiori ai 55 °C per cinque minuti.

COME DEBELLARE I PIDOCCHI

  • Prima di applicare i trattamenti, è bene togliere vestiti che potrebbero macchiarsi. Molte delle sostanze utilizzate sono infatti difficili da eliminare dall’abbigliamento.

 

  • Applicate il prodotto seguendo rigorosamente le istruzioni scritte nella confezione. Se la persona ha capelli molto lunghi, una sola confezione potrebbe non essere sufficiente. Fate particolare attenzione al tempo di posa e alle modalità di risciacquo.

 

  • Dopo il trattamento è opportuno indossare vestiti puliti.

 

  • Se vedete pidocchi ancora vivi ma che si muovono con difficoltà a 8-12 ore dal trattamento, non è necessario fare un secondo trattamento: alcuni insetticidi uccidono il parassita piuttosto lentamente.

 

  • Se dopo 8-12 ore i pidocchi si muovono con la stessa velocità di prima, significa che il prodotto non ha fatto effetto. Bisogna rifare il trattamento con una sostanza diversa.

 

  • Dopo il trattamento, è indispensabile eliminare meccanicamente le uova con l’apposito pettinino a denti stretti contenuto nelle confezioni di prodotto o acquistabile a parte. Un pettine normale non basta, poiché i denti sono troppo distanti per strappare la lendine dal capello.

 

  • Ogni giorno per circa una settimana dopo il trattamento è necessario procedere a un controllo di tutta la capigliatura e all’eliminazione di eventuali uova residue con il pettinino. Le uova rimaste sul pettinino vanno raccolte con un fazzoletto di carta da buttare accuratamente nella pattumiera. Lo stesso procedimento va portato avanti anche dopo il secondo trattamento, da effettuare circa una settimana dopo il primo.

 

  • È assolutamente controindicato mescolare prodotti diversi nello stesso trattamento.

 

  • Il costo piuttosto elevato dei prodotti contro i pidocchi è un forte deterrente al loro corretto uso. Ogni confezione di gel o mousse, in genere sufficiente a uno/due trattamenti, costa dai 10 ai 18 euro. Trattare l’intera famiglia può costare fino a 100 euro se si acquista anche lo shampoo post trattamento adatto al prodotto scelto (e fino a 200 se si considera che è necessario ripetere la cura una seconda volta).

 

  • I costi elevati indirizzano spesso il consumatore verso gli shampi, che permettono di trattare più persone con una sola confezione ma che sono meno efficaci delle altre formulazioni. Purtroppo i prodotti antipidocchio non sono considerati farmaci ma presidi medico-chirurgici e quindi non sono rimborsabili dal Sistema sanitario nazionale.

COME RIMUOVERE LE LENDINI, LE UOVA DEI PIDOCCHI

 

  •  Procurarsi un pettine a denti fitti

 

  •  Dividere i capelli bagnati in piccole ciocche

 

  •  Passare il pettine sulla ciocca dalla base del capello fino alla punta con un unico gesto continuo

 

  • Eseguire lo stesso movimento in senso contrario, dalle punte dei capelli verso la base per eliminare eventuali uova residue

 

  • Pulire il pettine con un fazzolettino di carta ogni volta che si ripete il gesto

 

  • Asciugare i capelli con il phon caldo, perché il parassita è sensibile al calore.

L'articolo Pidocchi in una scuola del centro storico, si attende l’arrivo del medico sembra essere il primo su QuiCosenza.it.

Dottoressa uccisa a Cetraro mentre faceva jogging, imputato godrà di uno sconto di pena

$
0
0
Annalisa-Giordanelli-Paolo-di-Profio

L’infermiere 47enne è stato ammesso al rito abbreviato condizionato all’acquisizione di una consulenza tecnica sul suo stato psico-fisico.

 

COSENZA – Paolo Di Profio alla sbarra per l’omicidio di Annalisa Giordanelli potrà godere di una riduzione sull’eventuale pena da scontare. L’infermiere quarantasettenne è stato oggi ammesso dalla Corte d’Assise del Tribunale di Cosenza al rito abbreviato condizionato all’acquisizione della consulenza tecnica volta ad accertarne lo stato psico-fisico. L’uomo è accusato di aver ucciso la sorella dell’ex moglie colpendola con un piede di porco mentre stava facendo jogging il 27 gennaio 2016. Il delitto che Di Profio confessò nell’immediatezza dei fatti, dopo dieci ore d’interrogatorio, sarebbe stato mosso dalla responsabilità che egli attribuiva all’ex cognata nel fallimento del suo matrimonio. L’omicidio avvenne nel centro storico di Cetraro, dove il corpo della donna ormai esanime fu abbandonato a bordo strada. La richiesta di rito abbreviato, era stata rigettata dal Tribunale di Paola, mentre viene oggi accolta dal collegio giudicante presieduto dal giudice Giovanni Garofalo con a latere Francesca De Vuono.

 

Acquisite le due perizie psichiatriche già effettuate su Di Profio, sarà ora compito dell’ex direttore sanitario dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza, dal 2014 vicedirettore del Dipartimento di Salute Mentale dell’ASP di Cosenza, Domenico Buccomino, redigere una nuova relazione sullo stato psichico dell’imputato e le sue eventuali dipendenze da sostanze stupefacenti di cui ha già ammesso di far uso. Anche la pubblica accusa rappresentata dal pm Maria Francesca Cerchiara, ha chiesto una perizia di parte affinché i giudici possano esprimersi sul presunto vizio di mente dell’imputato. Paolo di Profio è difeso dall’avvocato Sabrina Mannarino del Foro di Paola e Giuseppe Fonte. Il processo è stato aggiornato al prossimo 7 marzo 2017. Costituitesi come parti civili Serena Giordanelli ex moglie di Di Profio, il marito della dottoressa Giordanelli Massimo Aita, il Comune di Cetraro, Maria Paola Giordanelli altra sorella della vittima, Maria Bernardo e Manuela Aita.

LEGGI ANCHE

Omicidio Giordanelli, il presunto assassino

pare fosse ubriaco quando uccise la dottoressa

L'articolo Dottoressa uccisa a Cetraro mentre faceva jogging, imputato godrà di uno sconto di pena sembra essere il primo su QuiCosenza.it.

Il giuramento del nuovo presidente della Provincia di Cosenza Franco Iacucci

$
0
0
CONIGLIO 20 FEBBRAIO (3)

Il giuramento del Presidente Franco Iacucci oggi nell’Assise Provinciale. Insediato anche il nuovo Consiglio, dopo la convalida degli eletti.

 

COSENZA  – Il Presidente della Provincia ha prestato giuramento questa mattina davanti al Consiglio, nella seduta di insediamento, di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le sue funzioni nell’interesse della comunità amministrata. L’impegno solenne ha sancito ufficialmente la nascita dell’Amministrazione Iacucci, con il neo Presidente che ha dato inizio al nuovo mandato con prevedibile emozione. «È il primo Consiglio Provinciale dopo le elezioni del 29 gennaio – ha esordito Franco Iacucci subito dopo il giuramento – e la Provincia di Cosenza è stata l’ultima a votare, in Italia. Siamo giunti al voto dopo un lavoro politico di avvicinamento alle elezioni stesse che ci ha consentito di arrivare uniti, con candidature condivise e un risultato importante: percentuale di votanti superiore al novanta per cento; una maggioranza ampia PD/PSI/NCD/IDM/Coraggio di Cambiare. Tutto ciò è frutto di un percorso di inclusione e di una campagna elettorale di ascolto che ho voluto portare avanti anche da candidato unico, nel rispetto dei territori e delle Amministrazioni comunali. Ho toccato con mano il disagio dei Sindaci, l’isolamento, a volte lo sconforto. Ed è da qui che dobbiamo partire, tutti insieme, per ridare speranza alle nostre comunità.IMG_4450

 

Il vero successo è stato proprio quello della grande partecipazione, un segnale forte della volontà e della voglia di esserci degli Enti Locali; l’interesse e la tensione ideale a dare il proprio contributo per il rilancio di questo nobile Ente. Ringrazio quindi anche gli esponenti e le liste del centro-destra che, nel partecipare al voto, hanno dato un segnale di responsabilità e di apertura». Per il Presidente Iacucci, la Provincia di Cosenza è una grande comunità e tutte le sue diversità ne rappresentano il valore aggiunto: «ecco perché ci candidiamo a diventare un laboratorio di buone prassi amministrative e dobbiamo necessariamente diventare la Casa dei Comuni». Queste le prime cose da fare, secondo Iacucci: – l’analisi della situazione finanziaria; – l’analisi della pianta organica, propedeutica alla riorganizzazione degli Uffici; l’analisi della dotazione patrimoniale e strumentale. Impietosa l’analisi del Presidente nei confronti della Legge Delrio e delle Leggi di Stabilità che hanno sottratto risorse vitali alle Province, non più in grado di garantire i servizi ai cittadini: «abbiamo sottoscritto, tutte le 76 Province, un appello al Presidente della Repubblica, affinché il Governo metta queste istituzioni in grado di garantire la sicurezza dei 130 mila chilometri di strade provinciali, delle 5.100 scuole superiori italiane in cui studiano 2 milioni e 500 mila ragazzi, di realizzare gli interventi necessari a contrastare il dissesto idrogeologico».

 

Altrettanto impetuosa l’analisi della situazione della Provincia di Cosenza, al cui interno in questi giorni ha lavorato molto per capire come motivare il personale e riorganizzarlo: «gli uffici stanno lavorando sulla situazione finanziaria dell’Ente, che ha un’esposizione di 22 milioni di euro nei confronti della Tesoreria come IMG_4500anticipazioni di cassa. Ho chiesto al dott. Molinari di tornare a darci una mano e ha accettato e adesso è necessario riportare autorevolezza e fiducia; forse ci saranno tre o quattro mesi di difficoltà, ma sono certo che alla fine normalizzeremo la situazione. Ce la faremo!» Di rilievo l’intervento del Consigliere Pino Capalbo, presente al primo e per lui ultimo Consiglio Provinciale perché decaduto, in quanto dimissionario al Comune di Acri già commissariato: «una decadenza non automatica – ha sottolineato Capalbo – ma rassegnerò le dimissioni per coerenza, dignità e buona fede nei confronti di un percorso e di una battaglia portata avanti nella precedente consiliatura e che non può oggi essere rinnegata per interessi propri». Una posizione, quella del Consigliere Capalbo, che ha raccolto gli elogi del Presidente Iacucci il quale ha espresso parole di amicizia, stima e affetto nei confronti di «un uomo responsabile e generoso con le Istituzioni». Hanno partecipato alla discussione i Consiglieri Di Natale, Scarcello, Ramundo, Gervasi, Gravina, Nociti, Morrone, Bartucci ed Aceto. Votata all’unanimità la convalida degli eletti, a seguito dell’accertamento dei requisiti di eleggibilità. Acquisite le dimissioni di Pino Capalbo, si è proceduto con la surroga del Consigliere Marco Ambrogio, primo dei non eletti nella Lista “Provincia Democratica”, che ha immediatamente preso la parola per salutare il Consigliere dimissionario e ringraziare l’Assise per la tempestiva surroga.

L'articolo Il giuramento del nuovo presidente della Provincia di Cosenza Franco Iacucci sembra essere il primo su QuiCosenza.it.

L’ex Legnochimica ha solo venti euro in cassa per bonificare Rende?

$
0
0
legnochimica

Il curatore fallimentare: ”Hanno solo i terreni”. Si attende la relazione sui milioni di euro transitati negli anni nei conti correnti della Legnochimica Srl.

 

RENDE (CS) – Entro il mese di maggio dovrebbero essere svelati i ‘segreti’ delle finanze dell’ex Legnochimica Srl. Il curatore fallimentare Giovanni Imberti è stato chiamato a stilare, nei prossimi novanta giorni, una relazione sui beni che possiede l’azienda piemontese con sede legale a San Michele di Mondovì. Storicamente di proprietà della famiglia Battaglia, che (dal 1967 al 2002) ha prodotto pannelli in masonite ed estratto tannino dal legname, prima a Gesuiti di San Vincenzo la Costa e poi in contrada Lecco a Rende, Legnochimica ha venduto negli anni oltre 20 dei 30 ettari di terreni di sua proprietà. Ad acquistarne buona parte Calabra Maceri che versò nelle casse della società posta in liquidazione otto milioni di euro. La centrale a biomasse che ha ingurgitato centinaia di alberi silani, e finanziamenti pubblici per 40 miliardi di lire, pare invece sia stata ceduta da Legnochimica al gruppo Falck (Ecosesto Spa) per 38 milioni di euro. L’altra parte degli stabilimenti l’azienda ha scelto di cederla praticamente a se stessa, ovvero a Silvateam un ramo d’azienda facilmente riconducibile a Legnochimica. Amministratori erano infatti i cuginilaghi-legnochimica Battaglia arrestati per una presunta truffa da venti milioni di euro per finanziamenti pubblici dedicati la ricerca.

 

Nelle indagini scaturite dall’operazione Silva finì anche Giovanni Sindona, il perito nominato dalla Procura di Cosenza per stabilire l’entità dell’inquinamento di terreni e falde acquifere, cui incarico è stato revocato il mese scorso. Come noto, sui terreni di Legnochimica erano presenti 8 bacini idrici artificiali, oggi definiti ‘laghi chimici’ dove veniva decantato il legname. Alcuni di questi sono stati coperti e sopra costruiti capannoni, gli altri invece di tanto in tanto vanno in autocombustione creando il panico tra i residenti. Paure fondate visto che in soli otto mesi tra il 2008 e il 2009 ben dieci persone, che vivevano in via Settimo a cento metri dagli stabilimenti, sono morte di cancro. Nel corso dei decenni Legnochimica, minacciando periodicamente la chiusura e il conseguente licenziamento degli operai ha goduto di fiumi di contributi pubblici.

 

Nel 2002 la fabbrica più ‘puzzolente’ di Rende chiude battenti, viene posta in liquidazione volontaria, fase che si conclude nell’Agosto 2016 con il fallimento. L’azienda è ora affidata al curatore fallimentare di Mondovì Giovanni Imberti. E’ lui a spiegare che, stranamente, nei conti correnti di Legnochimica vi sono solo pochi euro.”Sto aspettando – afferma Imberti – che qualcuno mi dica cosa c’è sotto questi terreni. In cassa Legnochimica ha zero euro. Non conto gli spiccioli, però sono quasi nulle. Non c’è quasi niente sul contolegnochimica autocombustione (37) corrente, solo i terreni. Bisogna capire se c’è inquinamento, chi ne è responsabile e quanto costa l’eventuale bonifica. Dopo farò i conti, una semplice differenza tra quanto vale il terreno e quanto costa bonificarlo. Il discorso è semplice. Ho un terreno di cui sto aspettando la valutazione commerciale o qualcuno che mi dica se è inquinato. Non ho ancora capito se la perizia di Crisci sia attendibile. Evidentemente è stata chiesta una nuova perizia perché c’è qualcosa che non quadra nella vecchia. Quando arriverà faremo un piano di bonifica e se conviene si venderà il terreno. I soldi non ci sono, se costa sei milioni di euro il disinquinamento dell’area, dove li prendiamo i soldi per farlo? Ho proposto alla Calabria Maceri di comprare i terreni e bonificarli, ma per ora non mi sembrava molto disposta a farlo”.

 

Ufficialmente nel 2014 nei conti correnti erano presenti 750 euro, dei quali 600 sono stati spesi per depositare i bilanci del 2014 e del 2015. Oggi, voci di corridoio parlano di un saldo attivo in un conto corrente pari a soli 21 euro. Sono questi gli unici soldi che Legnochimica potrà investire per la bonifica dell’area qualora Imberti non dovesse riuscire a portare a termine il suo compito e capire dove sono finiti i milioni di euro che la famiglia Battaglia negli anni ha incassato dalla vendita degli stabili e terreni di proprietà di Legnochimica. Transazioni milionarie che il curatore fallimentare definisce ‘quelle cose lì’. Denaro che dovrebbe recuperare andandlegnochimica-1o a spulciare nei trasferimenti avvenuti sui conti correnti negli ultimi venti anni. “Farò una relazione in cui verificherò anche ‘quelle cose lì’ inviando tutto a chi di dovere. Devo andare a vedere se effettivamente ci sono state delle entrate sul conto della Legnochimica. E se sono entrate come sono uscite. Cercherò di capire dove sono andati i soldi, però il dato di fatto è che non ci sono. E bisognerebbe riuscire a recuperarli.

 

A breve cercherò di formulare e consegnare una bella relazione per capire dove sono andati. Ma è solo un contorno. Poi ci sarà un procedimento penale”. Il curatore fallimentare, pur essendo il suo studio a circa un quarto d’ora di distanza da Mondovì, paesino in provincia di Cuneo in cui ha da sempre la sede legale Legnochimica, non ne conosce i proprietari. Anzi. Giovanni Imberti afferma che “Legnochimica era intestata a Bilotta. Era una Srl con un socio unico, una società fiduciaria. Non si sa di chi era, non si può sapere. Lo saprà la Magistratura. Le società fiduciarie sono così, non si sa mai chi c’è dietro“. In realtà Bilotta ne è stato il curatore fallimentare dal 2012 al 2016, mentre Legnochimica opera dal 1979.

 

Ma Imberti insiste: “Prima del fallimlegnochimicaento c’era sempre Bilotta. Poi, forse, Andrea Battaglia, non mi ricordo. Bisogna fare una visura camerale”. Tutti però ricordano la nota famiglia piemontese dei Battaglia a cui l’allora sottosegretario al ministero dell’Agricoltura Cecchino Principe, da ex sindaco e politico navigato, agevolò l’insediamento industriale per la produzione del tannino. Per curare le ‘magagne’ legali di Legnochimica lo stesso Imberti ha nominato un avvocato di fiducia: Emanuele Rossi, anch’egli di Mondovì. “L’ho nominato io per seguire il caso e siamo venuti insieme a Cosenza per verificare di persona come erano i fatti”. Nel frattempo il sindaco di Rende Marcello Manna ha annunciato che l’iter per lo stanziamento dei 6 milioni di euro di fondi Cipe sta per andare a buon fine. All’ex sindaco di Cosenza, Salvatore Perugini, invece non interessa l’emergenza ambientale (e sanitaria) rendese lui su Legnochimica, pur essendone stato il legale di fiducia per venti anni, intende mantenere il silenzio.

 

LEGGI ANCHE

 

Ex operaio Legnochimica: ‘’Finiva tutto nel Crati.

I pesci morivano, ma era vietato parlare di inquinamento”

 

Autocombustione a Rende, terreni ex Legnochimica in fiamme (FOTO E VIDEO)

 

L'articolo L’ex Legnochimica ha solo venti euro in cassa per bonificare Rende? sembra essere il primo su QuiCosenza.it.


Cocaina e hashish, il narcos più potente d’Europa in affari con un arabo cosentino

$
0
0
trimboli cocaina

Dopo anni di latitanza in Colombia Domenico Trimboli ha deciso di collaborare con la giustizia.

 

REGGIO CALABRIA – Il boss dei due mondi. L’uomo capace di importare dal Sud America la cocaina necessaria a soddisfare l’intera Europa. Il tutto con il sostegno del clan Mancuso di Limbadi e della cosca Mazzaferro Marina di Gioiosa Ionica. Il 63enne Domenico Trimboli, meglio noto come Pasquale, originario di Natile di Careri piccolo Comune nel cuore della locride, ma nato in Argentina, rappresentava il punto di unione tra la ‘ndrangheta e i cartelli colombiani. Arrestato nel 2013 in Colombia a Caldas, municipio poco distante da Medellin, dopo circa quattro anni di latitanza Domenico Trimboli estradato inPorto-Gioia-Tauro-1 (1) Italia decide di collaborare con la giustizia. Il narcos ‘pentito’ pare utilizzasse come base nel Nord Italia per lo smistamento della cocaina nel resto d’Europa la città di Alessandria dove vivono numerosi suoi parenti e affiliati. Dotato di una eccelsa padronanza del linguaggio in diverse lingue, era lui a trattare con i più potenti cartelli prezzi e rotte da seguire per raggiungere i porti in cui far approdare carichi di almeno tre tonnellate di cocaina per volta. Primo tra tutti la roccaforte di Gioia Tauro in cui Trimboli, considerato uno dei più influenti narcotrafficanti al mondo, aveva il potere di far sdoganare container e container di cocaina. Un privilegio di cui pare godesse anche nei porti spagnoli e olandesi.

 

Trimboli e i suoi collaboratori, cui figura di vertice è stata individuata in Giuseppe Agostino sessantenne di Marina di Gioiosa Jonica, pare comunicassero sempre attraverso chat criptate utilizzando dei cellulari blackberry. In alternativa si usavano delle mail lasciate in bozze ad un indirizzo di posta elettronica a cui potevano accedere i principali protagonisti della compravendita di stupefacenti tra Colombia, Venezuela, Ecuador e l’Europa. La cocaina veniva comprata dai colombiani a 19mila euro al chilo spagna2e rivenduta dai calabresi a 36mila euro attraverso la partnership con i fratelli Fabrizio, Antonio e Francesco Cortese. Sequestrato più volte dai narcos che lo tenevano in ostaggio per ottenere il pagamento dei debiti, Trimboli grazie alla sua ‘onorabilità’ non entrò mai in conflitto con i cartelli, la sua era una vera e propria collaborazione fiduciaria. A sostenerlo, oltre ai 45 coimputati del processo che si sta celebrando presso il Tribunale di Reggio Calabria cui udienza è stata rinviata al prossimo 15 giugno a causa dello sciopero degli aerei, anche un marocchino cosentino. A difendere il collaboratore di giustizia Domenico Trimboli è l’avvocato Loredana Gemelli del foro di Torino.

 

Si tratta di Ben Zallah Miloudi quarantenne da tempo residente in via delle Medaglie d’Oro. L’uomo insieme al fratello Ben Zallah Salah (trentaseienne residente a Gioiosa Jonica) era stato incaricato di occuparsi dell’importazione di hashish in Italia dal Marocco via terra, passando da Tangeri, con dei camion. I due però pare avessero tentato di truffare i calabresi quando Salah fuggì dal Marocco rendendosi irreperibile con i 15mila euro di anticipo che gli erano stati consegnati per acquistare l’hashish. La sparizione del denaro era stata giustificata con un pestaggio subito dal ragazzo dai suoi fornitori, che lo avrebbero derubato di tutti i contanti che aveva con se. Circostanza cui contorni non sono mai stati del tutto chiariti. Ad incastrare l’arabo cosentino fu una denuncia presentata da egli stesso alla stazione dei Carabinieri di Cosenza. Miloudi Ben Zallah aveva infatti imagessmarrito i propri documenti e dopo aver presentato un esposto aveva lasciato il proprio recapito telefonico alle forze dell’ordine per essere ricontattato. Una ‘leggerezza’ che ha consentito agli inquirenti di individuare una pista bruzia nel narcotraffico internazionale di stupefacenti gestito nella locride. A rivolgersi ai fratelli Ben Zallah era stato lo stesso Giuseppe Agostino per reperire stupefacenti in Marocco. Ingenui e poco prudenti i magrebini nelle loro conversazioni telefoniche parlavano chiaramente dei rapporti ‘professionali’ che intrattenevano con i calabresi: “ora si va a lavorare con la bianca“. In un’occasione i due fratelli discutono preoccupati del fatto che il padre fosse venuto a conoscenza dei loro traffici illeciti: “già sa tutto, ma non sa che si tratta di fumo. Si tratta di altre cose. C’è qualcuno che glielo ha fatto sapere”.

 

Capaci di muovere fino a dieci tonnellate di hashish, inconsapevoli del pericolo delle intercettazioni telefoniche, i due fratelli sono convinti che nessuno possa comprendere il loro dialetto marocchino e parlano senza filtri: “devo scendere e parlare con la gente, lo sai quanto vogliono? 10.000”. Per trattare con i fornitori era il fratello minore Salah che viaggiava in aereo da Roma a Casablanca insieme ai calabresi. Nelle spese per importare lo stupefacente dovevano essere conteggiate anche le tangenti da versare alla polizia di frontiera per passare la dogana, circa 250 euro per ogni 50 chilogrammi di droga. In un’intercettazione 29102014-sequestro-hashish-70-chili-16captata i fratelli parlano di 7.500 euro già versati per corrompere i doganieri. L’arabo cosentino Miloudi pare fosse il delegato di questa pratica. E’ lui stesso infatti a comunicare al fornitore magrebino che ”gli italiani sono disposti a pagare la strada in Marocco”, e che il carico non sarebbe stato pagato in anticipo, ma solo al momento dell’imbarco del camion con l’hashish sul traghetto diretto da Tangeri alla Spagna. “Queste persone – affermava Miloudi al telefono con il collega in Marocco – può essere che vengono la prossima settimana, prima di prenderla bisogna guardarla e poi se va bene parliamo di tutto il resto. Loro vogliono mille scarpe”.

 

I due fratelli oltre ad allacciare rapporti con potenziali clienti, nel caso specifico i calabresi, per importare stupefacenti dal Nord Africa all’Italia avevano formato una sorta di rete fondata sulla mutua assistenza che provvedeva a spacciare sul territorio nazionale. Il prezzo dell’hashish importata dal Marocco era pari a 500 euro al chilo. Il denaro deve essere versato attraverso la Western Union in più tranches. Uno dei camion utilizzati per la traversata, fingeva di trasportare mobili all’interno dei quali era stato occultato il ‘fumo’ e veniva guidato da un italiano, che in un caso è stato accertato essere Cosimo Timpano cinquantottenne di Caulonia. I rapporti tra i due fratelli e i calabresi con il tempo però divennero sempre meno frequenti. I reggini ritengono i marocchini con i quali avevano trattato poco affidabili e si allontanano. A questo punto è proprio l’arabo cosentino Miloudi a farne le spese. I calabresi minacciano di ucciderlo perché in tre occasioni il denaro consegnato in anticipo per l’acquisto della droga pare fosse sparito. Un gesto che dalla locride, come captato dalle dichiarazioni di uno degli indagati Giuseppe Curciarello, viene interpretato malissimo: “ha tradito amici, ha tradito fiducia, devo trovarlo e ammazzarlo con le mie mani. Lui deve morire perché oggi ha tradito noi, domani tradisce altri”.

L'articolo Cocaina e hashish, il narcos più potente d’Europa in affari con un arabo cosentino sembra essere il primo su QuiCosenza.it.

Guerra di mafia a Cosenza: omicidio Sassone, chiesta condanna per Presta e due ‘pentiti’

$
0
0
giustizia_2

Il quarantenne morì freddato a colpi di arma da fuoco dopo essersi ribaltato in una cunetta con la propria motoape.

 

CATANZARO – Franco Presta, Francesco Amodio e Vincenzo Dedato potrebbero ricevere un’ulteriore condanna. Oggi presso la Corte d’Appello di Catanzaro, inanzi al collegio giudicante presieduto da Giancarlo Bianchi con a latere Domenico Commodaro, è stata richiesta la riforma della sentenza di primo grado a carico di tre dei protagonisti della carneficina consumatasi verso la fine degli anni Novanta, definita la terza guerra di mafia a Cosenza. Oltre ad essere state ricostruite le dinamiche interne della criminalità organizzata bruzia, il processo Terminator IV ha consentito di diradare le ombre sugli omicidio Enzo Pellazza, Vittorio Marchio e Antonio Sassone. I primi due furono freddati con la stessa pistola rispettivamente a Carolei e nel quartiere San Vito. Per la morte di Pelazza furono condannati in primo grado il collaboratore di giustizia Dedato (ritenuto mandante dell’omicidio di Marchio insieme ad Ettore Lanzino nel processo Terminator II) e Franco Presta.

 

Per l’omicidio del ‘bandito in carrozzella’ invece oltre a Dedato, Presta e Lanzino furono condannati a trenta anni di reclusione anche Mario Gatto e Walter Gianluca Marsico. I tre imputati erano però stati assolti, in primo grado, da ogni responsabilità in merito al delitto Sassone. Oggi però la loro posizione è stata rivalutata e la pg ha chiesto che vengano tutti e tre condannati anche per la morte del quarantenne freddato a colpi di arma da fuoco dopo essersi ribaltato in una cunetta con la propria motoape a Terranova da Sibari. Il processo è stato aggiornato al prossimo 27 aprile. In aula era presente solo il collaboratore di giustizia Vincenzo Dedato. Franco Presta ha seguito l’udienza in videoconferenza dal carcere di Sassari dove si trova ristretto in regime di 41 bis, mentre il ‘pentito’ Francesco Amodio a cui la commissione centrale del Ministero dell’Interno ha revocato la protezione non ha ritenuto opportuno recarsi in aula temendo per la propria incolumità.

 

L'articolo Guerra di mafia a Cosenza: omicidio Sassone, chiesta condanna per Presta e due ‘pentiti’ sembra essere il primo su QuiCosenza.it.

Piazza Bilotti ancora caos: tra lampioni in strada, sculture ambigue e tavolini ballerini (FOTO)

$
0
0
IMG_20170302_132059

Tra pochi giorni il parcheggio dovrebbe essere ultimato e, probabilmente, aperto al pubblico.

 

COSENZA – La piazza dedicata al compianto mecenate cosentino Carlo Bilotti continua a far discutere. La questione della famigerata perizia idrogeologica ‘copia-incolla’ dell’architetto Cuconato, su cui è stato basato il progetto e un’indagine della magistratura, è stata archiviata perché ”il fatto non costituisce reato”. Al di sotto della piazza durante gli scavi sono state trovate tre reti fognarie di cui i progettisti ignoravano l’esistenza, ma il problema pare sia stato risolto. Il torrente è stato incanalato e piazza Bilotti pur con un anno e dieci mesi di ritardo è stata restituita ai cosentini. Cittadini che, ancora ignari delle presunte infiltrazioni dei IMG_20170302_132209clan Muto e Lanzino nella gara d’appalto, hanno plaudito al sindaco Mario Occhiuto che in pompa magna ha tagliato il nastro qualche giorno prima del blitz della Finanza. Nel frattempo gli inquirenti hanno sequestrato parte delle quote societarie della Barbieri Group, ditta che aveva eseguito i lavori con la quale il contratto con il Comune di Cosenza era stato rescisso proprio a cavallo dell’irruzione dei baschi verdi nel corso dell’operazione che ha portato all’arresto di 33 persone tra cui l’imprenditore Giorgio Barbieri.

 

In questo caos ‘legale’ continuano i lavori per il completamento del parcheggio che dovrebbero terminare entro i prossimi dieci giorni. L’ultima tranche di IMG-20170302-WA0023subappalto è stata affidata alla Quick Park Sigea che dovrebbe apporre l’ultima pietra sul turbolento restyling. Dopo le aspre critiche ricevute, in quanto sulla piazza non è presente né un albero né una panchina, il Comune di Cosenza ha ‘apparecchiato’ la piazza con dei tavolini e delle sedie in plastica. Una scelta discutibile a cui si è associato un altro dato di fatto: le sedie ‘pubbliche’ vengono usate dai bar per far accomodare i propri clienti. Il motivo non è chiaro, ma intanto continuano a mescolarsi tra i tavolini dei vari locali che stanno ripopolando l’ex piazza Fera. Nei giorni scorsi è poi apparsa una scultura ambigua posizionata al centro della colata di cemento. Si tratta di un’opera di un’artista roglianese, Gallo, chiamata i Filosofi Guerrieri. Dodici figure umane stilizzate in acciaio da quattro metri ciascuna, contornate dagli ormai tradizionali cerchi cosentini su cui verranno incisi dati storici della città di Cosenza.

 

Infine lasciano stupiti i sei lampioni all’interno della carreggiata adibita al transito dei bus. A ritenerli estremamente pericolosi per ciclisti, motociclisti ed automobilisti è il consigliere Morcavallo che ha portato oggi all’attenzione della commissione Lavori Pubblici la questione. “Quella corsia dovrebbe essere adibita al traffico veicolare – ha affermato Enrico Morcavallo – il codice della strada in merito dice che nelle carreggiate non possono esservi ingombri mobili o fissi. Addirittura sarebbe vietato anche prevedere dei parcheggi all’interno delle carreggiate. Noi però lo ignoriamo e creiamo un problema di sicurezza pubblica, perché non sono segnalati. Il Comune sarà responsabile nel caso di incidenti, per questo ne chiedo la rimozione immediata”. Sembrerebbe che per illuminare piazza Bilotti siano stati scelti dei lampioni particolari, che la ditta aggiudicatrice della commessa ha impiegato diversi mesi per costruire. A breve però dovrebbero arrivare in città ed essere installati sul marciapiede, come previsto dalla legge.

 

 

 

 

L'articolo Piazza Bilotti ancora caos: tra lampioni in strada, sculture ambigue e tavolini ballerini (FOTO) sembra essere il primo su QuiCosenza.it.

Il ‘palazzo di Scarpelli’ pronto per lo sgombero, costa al Comune 150mila euro l’anno (FOTO)

$
0
0
rivocati-pianini-scarpelli

Per quaranta anni il Comune di Cosenza ha pagato il fitto all’architetto Pianini. I residenti: “Con i soldi spesi ci compravamo una villa con piscina”.

 

COSENZA – Il civico 130 di via Rivocati, dopo quaranta anni, sarà sgomberato. Palazzo Bilotti, stabile fittato da una parte all’imprenditore Scarpelli (titolare del noto supermercato) e dall’altra al Comune di Cosenza, dovrà essere restituito al suo proprietario: l’ingegnere Pianini. Costruttore ed impiegato del settore Affari Generali di Palazzo dei Bruzi, Pianini pare abbia ricevuto dal municipio cosentino ogni anno 150mila euro di fitto. Ora però l’amministrazione intende risparmiare. In effetti con una cifra del genere, ovvero oltre tremila euro al mese, è possibile trovare una sistemazione migliore per i nuclei familiari dell’emergenza abitativa ospitati nell’edificio in fitto. Al suo interno infatti attualmente vi abitano quattro famiglie. Residenti che da anni lamentano il degrado in cui verte la struttura che non è mai stata sottoposta, a loro dire, ad interventi di manutenzione. Tutti i lavori che sono stati eseguiti per mettere in sicurezza le pareti e le fognature del palazzo sono stati eseguiti autonomamente, a loro spese. Nessuno restituirà i costi sostenuti dalle famiglie che attendono con ansia lo sgombero, sperando di poter essere trasferiti in case più dignitose. Parte del solaio all’ultimo piano è crollata, i vetri delle finestre condominiali sono rotti, gli appartamenti abbandonati invece di essere stati assegnati a famiglie in attesa di alloggio sono stati murati o chiusi con dei lucchetti, apparentemente per evitare che i tossicodipendenti usino gli spazi per consumare eroina lontano da occhi indiscreti. In più l’ufficio affissioni del Comune di Cosenza ubicato al suo interno è stato svuotato ed abbandonato.

 

Doveroso ricordare che Giovanni Pianini è il cognato di Gianfranco Scarpelli, ex direttore generale dell’Asp di Cosenza noto per l’inchiesta sulle consulenze d’oro e molto vicino alla famiglia Gentile. Insieme a Pino Gentile ex assessore ai Lavori Pubblici della Regione Calabria, agli imprenditori edili William Grimoli, Fiore Cava, Antonio Tallarico, Bina Sprovieri, Giuseppe Cimenti e ai dirigenti regionali regionali Giovanni Laganà, Domenico Pallaria, Filippo Arillotta e Antonio Capristo era stato indagato e poi prosciolto in un’inchiesta partita dalla Procura di Catanzaro sull’edilizia sociale. Le indagini che hanno portato al rinvio a giudizio di Gentile e dei dirigenti della Regione Calabria riguardavano un bando (con tanto di aggiudicatari dei lavori) annullato dal governatore Scopelliti all’indomani del suo insediamento in Regione. Con il beneplacito di tutti era stata poi espletata una nuova gara con una nuova graduatoria di imprese ‘prescelte’ su cui la magistratura sta tentando di far luce. Oggi nel corso della commissione Controllo e Garanzia presso il Comune di Cosenza il dirigente del settore Patrimonio ha chiarito che entro un paio di settimane si dovrebbe procedere ad iniziare le operazioni per trasferire le famiglie in un altro stabile. Ovviamente in affitto. Il Comune di Cosenza ha già raccolto sei proposte che dovrà valutare nei prossimi giorni per individuare quale sia l’offerta più conveniente. Intanto, nonostante l’euforia scaturita dal poter sperare di vivere in condizioni migliori, con amarezza i residenti constatano che “con i soldi spesi ci compravano una villa con piscina per tutti”.

 

LEGGI ANCHE

Edilizia sociale, alla sbarra Pino Gentile e noti imprenditori cosentini

Bando regionale case popolari, Pino Gentile rinviato a giudizio

 

 

 

L'articolo Il ‘palazzo di Scarpelli’ pronto per lo sgombero, costa al Comune 150mila euro l’anno (FOTO) sembra essere il primo su QuiCosenza.it.

Omicidio piccolo Cocò, l’ex dell’imputato diserta l’aula e il pm ipotizza intimidazioni

$
0
0
news_img1_78413_auto-coco

La donna ha presentato un certificato medico ritenuto falso da un perito consultato dal pm Luberto. 

 

COSENZA – L’ex di Cosimo Donato non ha inteso presentarsi in Tribunale. Sonia Di Monte stamattina si sarebbe dovuta sottoporre al controesame dinanzi alla Corte d’Assise di Cosenza, ma ha fatto recapitare al pm Luberto un certificato medico. Un atto con il quale ha tentato di giustificare la propria assenza che non è stato accolto di buon grado. Un consulente incaricato di verificare la veridicità dell’atto avrebbe infatti dichiarato che si tratta di una farsa. La patologia dalla quale ha dichiarato di essere affetta infatti non sarebbe stata così invalidante da impedire di recarsi presso il Tribunale di Cosenza. E’ stato quindi disposta l’acquisizione dei verbali delle dichiarazioni iniziali rese dalla donna alla quale Cosimo Donato avrebbe confessato di aver ucciso Cocò Campolongo, il nonno Giuseppe Iannicelli e la sua compagna Ibtissam Touss. L’imputato che è accusato di aver ucciso e dato alle fiamme i corpi dei tre insieme a Faustino Campilongo pare abbia affermato alla presenza della donna (ex moglie del collaboratore di giustizia Michele Bloise) che la sua vita era cambiata. “Ora – avrebbe detto Cosimo Donato – nessuno potrà più dire che sono un buono a nulla. Fatto fuori Iannicelli sono io il capo di Tarsia”.

 

Il collegio giudicante presieduto dal giudice Giovanni Garofalo con a latere Francesca De Vuono, dopo una breve camera di consiglio nel disporre l’acquisizione delle prime testimonianze rese dalla donna e l’accompagnamento del suo compagno Marcus Messina alla prossima udienza ha parlato di ‘dichiarazioni confuse’ rese dalla donna. “Non ricordava fatti importanti per la sua vita – ha sentenziato la Corte – che non poteva aver dimenticato. Il suo stato patologico non era così grave da impedirne la presenza in dibattimento. Si tratta di fatti poco comprensibili, se non sospetti che portano ad immaginare minacce subite dalla teste e palesi intimidazioni identificabili in strattonamenti ai danni di uno dei suoi congiunti”. Strattonamenti subiti a scuola dalla figlia di Sonia Di Monte e Michele Bloise, Il processo è stato aggiornato al prossimo 21 marzo giorno in cui dovrebbero essere auditi il compagno di Sonia Di Monte, Battista Iannicelli fratello della vittima e il collaboratore di giustizia Daniel Panarinco.

 

LEGGI ANCHE

 

Triplice omicidio di Cassano, pentiti in aula parlano di eroina e ‘infamate’

 

 

Triplice omicidio a Cassano, quel ‘mi piace’ su facebook cliccato dopo la scomparsa

 

 

Le foto osé di Iannicelli sul cellulare, i retroscena del delitto di Cocò Campolongo (VIDEO)

 

 

Omicidio Cocò, giallo su chi guidava l’auto del nonno

 

 

Triplice omicidio di Cassano, il nonno di Cocò seguì in auto una Fiat Uno

L'articolo Omicidio piccolo Cocò, l’ex dell’imputato diserta l’aula e il pm ipotizza intimidazioni sembra essere il primo su QuiCosenza.it.

Viewing all 778 articles
Browse latest View live