
Il ragazzino, nonostante fosse ammanettato e piantonato, sarebbe riuscito a ferire tre militari.
COSENZA – Una notte bianca turbolenta. Dal festeggiare con gli amici un ventitreenne si ritrova in caserma senza saperne il motivo. La ragione del fermo, ufficialmente, viene ricondotta ad una regolare identificazione del soggetto. Un controllo di routine che si trasforma in una colluttazione nel quale ad avere la peggio, secondo il giudice Marletta, furono tre militari feriti dal ragazzino appena ammanettato. E’ il 17 agosto del 2013 quando su segnalazione di una persona, di cui non è mai stata trovata traccia, i carabinieri della stazione di Rogliano sarebbero intervenuti nel bar ‘di Carletto’ nel centro del paese per una rissa. In realtà al loro arrivo nessuno pare stesse litigando. Pochi istanti ed i carabinieri iniziano a puntare il dito contro Marco Arcamone. Non è loro piaciuta una frase che il ragazzo avrebbe pronunciato mentre passavano in auto. Gli chiedono di fornire i documenti, ma il ventitreenne non li ha.
La patente gliel’hanno sequestrata quegli stessi carabinieri ed ha smarrito la carta d’identità. Con l’uso della forza i militari riescono a far entrare il giovane in macchina e portarlo in caserma. Arrivati presso la stazione dei carabinieri però Arcamone si rifiuta di abbandonare la vettura. Ha paura perché già in macchina uno di loro, come racconterà successivamente in aula, aveva iniziato a picchiarlo con dei pugni in testa. Viene quindi trascinato di peso negli uffici con una folla di persone fuori dai cancelli della caserma che chiede il suo rilascio urlando. Nessuno però puo’ avvicinarsi neanche lo zio, di professione carabiniere, il quale chiede di sapere cosa stia succedendo. Dopo qualche ora arriva l’ambulanza. I sanitari refertano le lesioni dei tre militari feriti e, da lontano, guardano il ragazzo senza provvedere ad alcun tipo di medicazione. Si procede quindi al suo arresto. L’accusa è di aggressione e resistenza a pubblico ufficiale.
Tornerà a casa, ristretto ai domiciliari, con una maglietta a brandelli su cui sono ancora impresse ‘strane’ impronte di scarpe. La prognosi dei militari fu pari a cinque giorni, quella del ragazzo dieci. Il giorno dopo in Pronto Soccorso infatti il medico di turno aveva riscontrato sul corpo del ragazzo (VEDI FOTO IN BASSO): escoriazioni del dorso sinistro, ecchimosi subascellare destra e sinistra, iperemia di polso destro e sinistro, trauma cranico minore con distorsione rachide cervicale. A distanza di tre anni dall’episodio il giovane, dopo aver ricorso a diverse terapie fisiatriche, è ancora in cura presso il CIM di San Giovanni in Fiore per i traumi conseguenti al caos di quella famigerata notte. Oggi, dopo le arringhe dell’avvocato difensore dei tre militari feriti che si sono costituiti parte civile nel processo (Giovanni Raimondo, Massimiliano De Seta e Antonio Barberi) il giudice Lucia Marletta ha condannato Marco Arcamone a cinque mesi di reclusione, pena sospesa.
Una sentenza che ha scioccato anche la stessa pm Perrone che aveva chiesto l’assoluzione del ventiseienne perchè il ‘fatto non costituisce reato’ in quanto l’atteggiamento assunto sarebbe stato quello di un uomo in gabbia che teme per la propria incolumità. Non è da escludere che, una volta acquisite le motivazioni della sentenza, la difesa dell’imputato possa ricorrere in appello. Il legale difensore di Arcamone, Marcello Manna, nel corso della sua arringa conclusiva in fatto ha fatto notare alcune anomalie nelle deposizioni in aula dei militari. I carabinieri secondo l’avvocato Manna “hanno raccontato tre versioni diverse dei fatti. Se la legge è uguale per tutti deve esserlo anche per le forze dell’ordine”. In più la difesa si chiede come possa aver fatto ammanettato e piantonato ad aggredire con pugni e calci i tre carabinieri e perché la folla dalla piazza è migrata in caserma a difesa del giovane. Dal suo canto il legale dei militari ha sottolineato “la buona fede dei carabinieri che hanno anche chiamato il 118 per farlo curare”.
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In foto le ferite riportate da Marco Arcamone
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