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Channel: Maria Teresa Improta, Autore presso quicosenza
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Il 2023 e la strage di Cutro: ricordi di studenti sopravvissuti per caso e familiari che scavavano nella sabbia

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CUTRO (KR) – Sopravvissuti per puro caso, non dimenticano le urla strazianti che rimbombavano tra le onde la notte del 26 febbraio a Steccato di Cutro. Tra i pochissimi superstiti del naufragio di Cutro rimasti in Calabria vi sono tre giovanissimi studenti pachistani. Vivono da marzo in provincia di Cosenza, a San Benedetto Ullano, accolti nel progetto SAI (Sistema Accoglienza Integrazione) dell’associazione Don Vincenzo Matrangolo che dispone di 8 strutture sparse sul territorio, per una disponibilità totale di 350 posti in appartamenti autonomi. Hanno tra i 16 e i 18 anni, stanno ricominciando una nuova vita e vorrebbero proseguire gli studi, iscriversi all’università, costruire il proprio futuro. Raccontano di essersi trovati dal lato dell’imbarcazione più vicino alla battigia nel momento in cui è affondata. Una volta caduti in mare durante la burrasca sono riusciti a nuotare raggiungendo la riva. Quando hanno ripreso conoscenza, alle prime luci dell’alba, davanti a loro c’erano corpi privi di vita che galleggiavano in acqua. 

I giovani superstiti pakistani accolti in provincia di Cosenza

«Ora hanno completato il percorso per il riconoscimento dello status di rifugiato – spiega Giovanni Manoccio dell’associazione San Vincenzo Matrangolo – e ottenuto la protezione internazionale per 5 anni. È un gran bel risultato. Sono stati i primi tre ragazzi che sono usciti dal Cara di Crotone, sono arrivati da noi dopo meno di un mese. Uno è minorenne, ma con lui c’è il fratello maggiore e il terzo è un loro cugino. Hanno capito subito che si stava consumando una strage. Abbiamo lanciato l’allarme appena appresa notizia del naufragio chiedendo che i superstiti venissero accolti nei progetti periferici del SAI perché pensare una loro convivenza con migliaia di persone nel Cara di Crotone dopo una tragedia di questo genere mi sembrava un’ulteriore violenza. Chi ha la sfortuna di finire in un CAS (Centro di Accoglienza Straordinaria) non riesce facilmente a risolvere il problema dei documenti».

Nessuna agevolazione sul fronte burocratico

A confermare la difficoltà nell’accedere agli iter burocratici per poter ottenere i visti indispensabili per potersi spostare è Yasmine Accardo di MeMed – Memoria Mediterranea che da anni si occupa di ricerca e identificazione delle persone disperse nel Mar Mediterraneo, fornendo supporto legale e psico-sociale ai familiari nonché denunciare le violenze delle politiche di frontiera. «Tra le vergogne della strage di Cutro – afferma Accardo – abbiamo denunciato i ritardi nel dare ai superstiti la possibilità di fare domanda di protezione internazionale. Come per tutti i migranti che sbarcano in Italia i tempi sono stati lunghissimi anche per loro. Il fatto che fossero sopravvissuti a un naufragio non ha fatto sì che le procedure venissero accelerate. In tanti sono ancora in attesa della documentazione».

La disperazione dei familiari che scavavano nella sabbia

«Le pratiche che i familiari devono seguire per riuscire a capire che fine hanno fatto i propri cari – chiarisce Accardo – sono estremamente complicate, lunghe e farraginose. In più le istituzioni non forniscono risposte a chi cerca un parente e vuole sapere se è arrivato, se è stato trovato il corpo privo di vita, se è disperso in mare. La pratica per il riconoscimento attraverso il prelievo del DNA peraltro non è affatto frequente. A Cutro siamo stati chiamati da famiglie estremamente preoccupate, temevano il peggio e sono arrivate da Germania, Svezia e Francia per sapere cosa fosse successo. Le abbiamo accompagnate a Steccato di Cutro dove era avvenuto il naufragio. I familiari erano sconvolti. Si vedeva la punta della nave spezzata e una distesa di detriti ed effetti personali sparsi sull’arenile in un raggio di circa dieci chilometri. In preda alla disperazione e alla volontà di non restare inermi aspettando che i cadaveri riaffiorassero dalle onde, tanti hanno iniziato a scavare nella sabbia. Quando sono stati trovati in acqua dei corpi c’era chi ha potuto identificarli solo grazie a un laccetto legato al polso, perché ormai le vittime erano irriconoscibili».

Superstiti nel tendone e familiari in strada

«La superficialità tra le autorità preposte era scandalosa. Nessuno – ricorda Accardo – sapeva cosa faceva l’altro. Abbiamo assistito a situazioni francamente vergognose sotto molti aspetti. I sopravvissuti sono stati trasferiti al Cara di Crotone in un grosso tendone in condizioni estremamente precarie e senza assistenza. Inoltre i familiari dei dispersi una volta arrivati in Calabria non avevano possibilità di alloggio, dormivano in macchina o in strada. La popolazione locale dal basso è riuscita a tappare i buchi creati dalle istituzioni. Solo dopo l’arrivo del Presidente della Repubblica Mattarella, che si è preso la responsabilità di pagare per ospitare chi cercava i propri cari, è stata trovata una soluzione. Le famiglie hanno dimostrato grande coraggio. Non solo hanno continuato con costanza a chiedere informazioni, ma quando si sono trovate di fronte al trasferimento improvviso delle salme che dovevano essere trasportate al cimitero di Bologna per svuotare il Palamilone, si sono opposte fisicamente protestando per ore e impedendo che venisse eseguito».

L’esposto per omissione di soccorso

«Insieme a decine di altre associazioni abbiamo quindi presentato un esposto in Procura. Riteniamo che la strage – dichiara Accardo – sia stata determinata dal mancato intervento delle autorità italiane. L’imbarcazione era a 150 metri dalla spiaggia, i migranti erano ben visibili, erano stati avvistati. Nessuno però li ha soccorsi, nonostante la situazione fosse di evidente pericolo in un punto noto per le difficoltà di navigazione che comporta data la particolare conformazione del fondale. Il rischio non è stato considerato e il salvataggio che non è avvenuto. Speriamo che si ottenga giustizia rispetto alle gravi omissioni registrate. Pare che tutti abbiano visto cosa stesse accadendo, però siano rimasti ad attendere ordini invece di agire».

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